Poland Off Camera – On Camera – Wentworth Miller

 

Intervistatore: Sono felice di avere la mia bottiglia di acqua con le altre quattro che sono già qui. Questi sono i miei appunti. Le domande che ti faremo — Tenetevi pronti… Introduzione… da dove comincio? Reciti da molti anni ormai. Ci piacerebbe sapere dei tuoi inizi, ad esempio, qual è stato il tuo stimolo, la motivazione, ti è capitato di intraprendere questo mestiere per caso, oppure, hai sempre saputo che questo era quello che volevi fare.

Wentworth: Da bambino ero affascinato dalla recitazione, da Hollywood. Amavo la TV. Amo i film… ma più crescevo, più mi rendevo conto di quanto fosse difficile entrare in quest’ambiente, così dopo essermi laureato, mi sono trasferito in California, con l’idea di lavorare dietro le quinte e diventare un produttore e solo un anno e mezzo dopo essere arrivato a Los Angeles mi sono reso conto di essermi incosciamente trasferito lì per recitare — dovevo solo trovare il coraggio.

Intervistatore: Come hai fatto a capirlo?

Wentworth: Sognavo la recitazione sin da piccolo e poi mi sono reso conto di non voler domandarmi “Cosa sarebbe successo se”… e pormi ancora la stessa domanda a 70 anni… “Dove sarei ora se ci avessi provato?” Se avessi provato a fare l’attore — avrebbe funzionato? Sarei stato un attore di successo? — Non volevo che il dubbio mi perseguitasse, così ho pensato che anche se non avrebbe funzionato avrei dovuto quanto meno darmi una possibilità.

Intervistatore: …Raccontami allora la storia del tipico attore di Los Angeles in difficoltà. Credo fossero quei due tre anni, tra il tuo trasferimento a Los Angeles e l’anno in cui hai ottenuto il tuo ruolo televisivo più importante. Come hai vissuto quegli anni così difficili?

Wentworth: Gli anni difficili — Per sei anni, ho lavorato temporaneamente come assistente esecutivo per le agenzie, le compagnie di produzione, ed in quanto assistente temporaneo, riscaldavo per otto ore le sedie di totali sconosciuti, giocando al solitario sui loro computer, ma alla fine, anche questo lavoro mi è stato utile, perché lavorare per gli agenti, per i registi, per i produttori, mi ha permesso di osservare il lavoro dietro le quinte… da un punto di vista diverso, un punto di vista che credo il tipico attore non avrà mai. Perciò, quando ho cominciato a lavorare come attore, sapevo quanto fosse difficile girare un film, persino un film brutto e, quindi, riuscivo ad apprezzare di più il mestiere — bisogna comunque sapersi guadagnare il respetto.

Intervistatore: Ho sempre pensato che bisogna essere masochisti per poter dirigere un film.

Wentworth: E’ un lavoro difficile. Ad un certo punto, mi sono chiesto se volessi davvero fare il regista e la risposta è stata negativa — a meno che non è un progetto che mi appassiona profondamente, ma ho sempre odiato l’idea che qualcun altro racconti la storia. Con rispetto e serietà, questo sarebbe il motivo per cui potrei un giorno decidere di dedicarmi anche alla regia.

Intervistatore: Parliamo del tuo primo ruolo televisivo, della prima volta in cui sei stato al centro dell’attenzione. Sei approdato in una fantastica serie cult “Buffy the Vampire Slayer” — com è stata quest’esperienza?

Wentworth: Snervante — Ho trascorso la giornata aspettando che bussassero sulla porta del mio camerino per dirmi che mi avevano licenziato (ride). Non ero mai stato su un set prima di allora e all’improvviso combattevo per finzione contro David Boreanaz in un vicolo alle 3 del mattino. Ero in confusione, ero sul set di una serie che da fan ho sempre amato e guardato, ma per il rotto della cuffia, ce l’ho fatta e sono stato abbastanza fortunato da costruire la mia carriera nel corso degli anni.
Intervistatore: Per chi non lo sapesse, potresti descrivere il ruolo che hai interpretato in “Buffy the Vampire Slayer”?

Wentworth: Ero un mostro marino. Ero nella squadra di nuoto del liceo e credo che la trama prevedesse che il coach correggesse l’acqua con del DNA di squalo, affiché potessimo nuotare tutti più velocemente, con lo sfortunato effetto collaterale che ci avrebbe trasformati tutti in mostri.

Intervistatore: E poi, non molto tempo dopo è arrivata Dinotopia, che è una mini serie, quindi, c’era più longevità. Fino a quel punto, com è stata la tua esperienza, visto che non si trattava semplicemente di girare un singolo episodio.

Wentworth: Beh, sono stato per otto mesi a Londra, per girare Dinotopia, una mini serie in tre puntate. Il budget era enorme, c’erano gli effetti speciali, c’era azione ed avventura. Lavorare in qualcosa che non è nemmeno reale, per me, è stata una vera e propria scuola. Nella serie, c’era un dinosauro, ed in questo caso è stato un salto nel buio, perché ci vuole una certa quantità di immaginazione, ci vuole del coraggio e dell’impegno. Devi crederci, devi fingerti spaventato perché, in fase di montaggio, i tecnici dovranno inserire qualcosa che giustifichi la tua espressione spaventata. E poi, eccomi qua, dopo un tot di anni, a girare ancora film d’avventura, d’azione, ad interpretare personaggi tratti dai fumetti e quei primi anni mi sono stati d’aiuto oggi.

Intervistatore: Come ben saprai, i fumetti hanno cominciato a farsi notare dalla cultura popolare. Qual è la tua predisposizione, nel senso, chiaramente, ti diverti a girare queste serie, ma sono normalmente serie per cui ti senti attratto?

Wentworth: Non avrei mai ammaginato di avere un giorno la carriera che ho adesso. Credevo che avrei interpretato un avvocato in un drama procedurale, ma mai avrei immaginato di indossare una giacca a vento e degli occhialini protettivi [ndt: si riferisce al suo personaggio Captain Cold] e di andarmene in giro a sparare a delle persone, congelandole, con una pistola finta… non è quello che mi sarei aspettato di fare oggi, ma nel profondo del mio cuore, io credo di essere nato per interpretare i ruoli che interpreto… non recito i ruoli che non fanno per me ed è così che cerco di mantenere la mia sanità mentale in un ambiente lavorativo in cui è facile perdere il controllo. L’attore medio va a fare un provino e lo sa che non riguarda mai il suo talento, ma se ha l’altezza giusta, il giusto colore dei capelli… sei tu quello che il regista aveva in mente quando immaginava il personaggio per cui ti proponi? Sono molte le cose che sfuggono al tuo controllo per questo lavoro, perciò arrendermi al controllo, per quanto possibile, e ripetermi “Qualunque cosa l’universo mi offra, dirò di sì” mi è stato d’aiuto.

Intervistatore: Restando ancora in tema… tu sai bene che i personaggi presenti in The Flash o Resident Evil sono personaggi fantastici già amati dal pubblico in altre forme. Come vivi l’essere sotto attento esame da parte di un pubblico che ama già da tempo questi personaggi?

Wentowrth: Sì, il pubblico è un appassionato, ma credo che se si da’ importanza a quello che pensa la gente, allora ti ritroverai in un mare di guai. Io ho i miei standard artistici, quello che io percepisco come creativamente buono, autentico, ispirato ed è a questo che cerco di prestare attenzione, piuttosto che a come il pubblico mi riceve o mi percepisce. Una volta, il mio acting coach mi disse — per quel che riguarda il pubblico — che non posso dare alle persone quello che loro vogliono, ma posso dare loro quello che faccio e se quello che faccio coincide con quello che vogliono, allora sono nel business, altrimenti… Cest la vie.

Intervistatore: E’ un bel modo di pensare il tuo. Uno dei tuoi lavori che io preferisco è un film sottovalutato, che si chiama The Human Stain…

Wentworth: Grazie.

Intervistatore: … in cui tu interpreti il giovane personaggio che da adulto è interpretato sal signor Anthony Hopkins (Signor Tony). Non voglio metteterti pressione! Puoi dirmi come ti sei avvicinato ad un personaggio che era già un personaggio, niente di meno che interpretato poi dal signor Tony?

Wentworth: Beh, ho guardato tutti i film che lui ha girato e che sono riuscito a guardare, ma in quel caso, mi sono concentrato sul libro, scritto da Philip Roth e ho cercato di rendere onore a quella caratterizzazione e l’interpretazione è stata meravigliosa perché abbiamo girato prima la mia parte e solo dopo mi è stato detto che Anthony Hopkins ha guardato le mie scene, cercando pezzi della mia performance da poter fondere con i suoi, come se stesse guardando un vecchio film di famiglia.

Intervistatore: E’ stato bello che tu abbia fatto parte di quel progetto, avevi visto o letto il libro di Roth — le tue origini — mio Dio — tra tua madre e tuo padre, vediamo se ho capito bene — tuo padre ha origini afroamericane, ebree, inglesi, tedesche, giamaicane e cherokee, mentre tua madre ha origini russe, francesi, olandesi-siriane, libanesi e svedesi. E’ incredibile! Chiaramente, tu sei un uomo di mondo — le tue origini multiculturali ti concedono un vantaggio nei ruoli che interpreti?

Wentworth: Probabilmente, è difficile dirlo poiché io non partecipo alle conversazioni inerenti la scelta di un cast. So per certo che quando ho cominciato questo lavoro ero invidioso degli altri attori presenti nel mio corso di recitazione, che erano chiaramente molto simili alla ‘versione giovane di Tom Hanks’ o a quella di Denzel Washington, poiché per quelle persone le porte si sono aperete facilmente. Ad Hollywood piace infilare gli attori, ognuno, in scatole singole e mettere loro un’etichietta in fronte, così che Hollywood sappia cosa fare. Hollywood sapeva cosa fare con un giovane Tom Hanks o con un giovane Denzel Washington, ma chiaramente non sapevano cosa con un giovane Wentworth Miller… quindi, ho passato molto tempo a cercare di essere la mia versione giovane di Tom Hanks o la mia versione di un giovane Denzel Washington, senza però avere successo. La mia speranza è quella di essere riuscito a creare qualcosa che forse prima non esisteva, di modo che tra 10 o 15 anni qualcuno ad Hollywood dica “Abbiamo bisogno di un giovane Wentworth Miller”. Forse succederà, o forse no, ma all’epoca, in quanto attore, trovare un posto in quest’ambiente, sembrava essere la mia sfida.

Intervistatore: Ti è mai capitato di pensare il contrario, ovvero, ti sono mai stati proposti dei ruoli e di pensare “Perché mai avranno pensato a me?” Perché semplicemente non sembrava un ruolo adatto a te o ti sembrava che quelle persone ricercassero le caratteristiche sbagliate — o comunque queste non sono conversazioni a cui tu partecipi?

Wentworth: Dopo Prison Break, mi sono stati proposti molti ruoli legati alla prigione. Il mio personaggio era o un detenuto, o sarebbe andato in prigione, oppure ne era appena uscito, probabilmente avrebbe avuto dei tatuaggi o avrebbe fatto degli Origami [ride rumorosamente!]. Ho dovuto dire di no molte volte a tanti progetti perché temevo di non togliermi più di dosso il ruolo del detenuto. Ma poi, mi hanno proposto un ruolo in Resident Evil e l’approccio verso quel personaggio, che pure si trova dietro le sbarre, è stato ironico. E’ stato un approccio spensierato e poi ho pensato… ahh, forse al fan medio di Prison Break questo ruolo potrebbe piacere, eh eh… Questo è il periodo giusto, è un ruolo giusto, dirò di sì.

Intervistatore: Sono curioso, quanti fan di Prison Break sono presenti qui?

Wentworth: Uno, forse due…

Intervistatore: PB è stato un eccellente successo, ovviamente, e sei persino stato nominato ai Golden Globe, che non è poi una cosa così ignobile.

Wentworth: Grazie.

Intervistatore: Nello specifico, quella nomination ti ha aperto delle porte — c’è stata una connessione diretta?

Wentworth: Probabilmente no — e questa è la risposta più onesta che io possa dare — e va bene così, perché io non do troppa importanza a quel genere di premi o riconoscimenti. Il mio desiderio è quello di poter fare il miglior lavoro che mi è possibile ed essere parte di una storia che commuova, che ispiri e che entri in contatto con un pubblico ampio — e così va bene — ma se non dovesse succedere, va bene lo stesso — se sarò premiato, fantastico, se non sarò premiato, lo sto facendo comunque per amore — per i motivi giusti…

Intervistatore: … ritorniamo indietro con gli anni, a quando eri un laureando in Letteratura Inglese all’Università di Princeton. E’ grandioso che la tua carriera abbia intrapreso questo percorso così strano da allora… ma tu scrivi pure e sei uno sceneggiatore e la storia che finora ha avuto più successo è stata Stoker, scritta qualche anno fa. Fai parte del progetto ‘Director Park Film’, un gruppo di registi coreani che segnano il debutto di film in lingua inglese — Come è potuta succedere questa cosa? Voglio dire — parleremo del processo di sceneggiatura tra poco — ma questo cambiamento, nella tua carriera, sembra essere un trampolino fantastico.

Wentworth: Forse… Per me è stato un passaggio piuttosto naturale. Faccio l’attore già da un po’ — e sto rispondendo alle domande che appaiono sullo schermo — ad ogni modo…
Intervistatore: Indagheremo in seguito la questione più a fondo…

Wentworth: All’imnprovviso, mi si apre una porta e dall’altra parte c’è una probabile carriera di autore. E mi sono divertito così tanto a scrivere la mia prima sceneggiatura, ho potuto interpretare tutti i personaggi, ero il capo di me stesso, non dovevo uscire di casa se non avevo voglia di farlo, mi sono semplicemente rintanato in casa e sono capitato in questo progetto. Quello che ho scritto è quello che abbiamo venduto alla Fox Searchlight e poi, subito dopo essermi ritirato, è entrato in gioco il regista Park. Quindi, non ho avuto nulla a che vedere con la scrittura del copione. Non ho lavorato a stretto contatto con il regista Park. Ha introdotto dei cambiamenti al copione, perciò quello che appare sullo schermo non è quello che io ho scritto originariamente nel copione, ma anche questa è la storia di Hollywood ed è un business collaborativo. La natura della bestia è questa…

Interivistatore: Park è conosciuto per essere uno scrittore raffinato e mi piacerebbe sapere quali siano le differenze, voglio dire, quel film certamente sembra suo, c’è il suo marchio dappertutto, sono suoi anche gli effetti visivi, ma il tuo copione, ad esempio, era elaborato come il suo? Quali erano le differenze dal copione allo schermo?

Wentworth: Se ha senso quello che sto per dire, descriverei il mio copione più Gotico che Barocco. Quando l’ho visto, ho pensato che sì era diverso da quello che avevo originariamente in testa. Ma poi mi sono anche reso conto che il 99,99 % delle persone che avrebbero visto il film, non conoscevano il mio copione, non conoscevano affatto la mia intenzione originaria e, a questo punto, davvero non ha alcuna importanza — il film è arrivato nei cinema, è stato ben accolto e sono grato che sia stato girato.

Intervistatore: Quindi tu, quanto tempo fa hai scritto quella sceneggiatura?

Wentworth: Credo fosse il 2010.

Intervistatore: E’ stata la tua prima sceneggiatura?

Wentworth: Sì, avevo appena terminato le riprese di Resident Evil e non avevo nulla da fare, non sapevo che cosa mi sarebbe stato proposto subito dopo, così mi sono messo a scrivere.

Intervistatore: Perché? Che cosa ti ha fatto… solo perché sentivi che ci fosse qualcosa…

Wentworth: A dire il vero, avevo l’idea da circa quattro anni, ma solo perché mi sono etichettato come attore, non riucivo a vedermi anche come un autore, non mi sentivo all’altezza. Non credevo di riuscire a scrivere una sceneggiatura, ma avevo interpreatato Michael Scofield in Prison Break per quattro anni. Michael era un bravo ragazzo, ma io volevo interpretare un cattivo, così ho cercato di convicere invano diversi autori, negli anni, a scrivere per me il ruolo del cattivo ragazzo. Così ho pensato che se non avessi scritto io stesso un ruolo per me stesso, l’opportunità di interpretare il cattivo ragazzo non mi sarebbe mai stata data. Così, una notte, avevo terminato di guardare tutto quello che era conservato sul mio videoregistratore digitale, non c’era altro da guardare in TV, era troppo presto per andare a dormire ed ho cominciato a pensare alla scena che avevo in mente. Avevo le idee chiare e così ho pensato di metterle per iscritto. Mi son detto: “Se non funziona, non lo saprà nessuno, rimarrà tra me e me”, ma il mese dopo avevo già scritto l’intera sceneggiautra. Il progetto di scrivere era in me da quattro anni. Lo paragono ad una sorta di piatto cotto a fuoco lento, una marinata. Ho scritto quando mi sono dato il permesso di essere anche un autore.

Intervistatore: Posso solo provare ad indovinare i primi fotogrammi di una scena, ma mi piacerebbe sapere — com è stato…

Wentworth: E’ stata una scena in cui lo zio Charlie viene dimesso dall’Istituto e, quando suo fratello va a prenderlo, gli dice… “Ti volgio bene, ma non verrai a stare da noi”…

Intervistatore: Ed ho sentito dire che c’è la possibilità di girare un prequel. Ma no so se sia solo un rumor o…?

Wentworth: Ho scritto il prequel mentre ero in trattativa per la realizzazione di Stoker. Immaginavo come dovessero essere questi personaggi sei mesi prima gli eventi narrati nel film, così ho cominciato a scrivere questa sceneggiatura aggiuintiva. All’inizio credevo che 20 pagine sarebbero state sufficienti, poi forse 30, ma alla fine erano talmente tante pagine che ho pensato che sarebbe stato corretto farle leggere agli attori del film per ciò che sono prima degli eventi raccontati nel film. Quindi, ho scritto la sceneggiatura del prequel e ho presentato anche quella alla Fox Searchlight, quindi, i diritti sui personaggi ora non sono più miei, perciò non so se il prequel verrà mai realizzato. Credo che molto, forse, dipenda da come Stoker sia andato al box office e non mi sono interessato della questione perché non mi importa. Io spero di sì, ma a questo punto, la realizzazione o meno del prequel non dipende più da me.

Intervistatore: Vorresti avere più potere creativo? Chiaramente, non vuoi dirigere, ma ora il tuo primo lavoro è stato pubblicato ed anche se non è la tua sceneggiatura originaria, è stata comunque apprezzata da molte persone, me incluso.

Wentworth: Grazie.

Intervistatore: Però sai, ora come ora ruota tutto intorno alle anteprime, i sequel, i remake, i reboot ed è come se non ci fossero più idee originali. In ogni progetto, è come se ci fosse sempre qualcosa da dire, ma rimane in sosperso, così la si riprende in seguito, cercando di indagare sulla storia più a fondo. Mi domando se ti senti un attaccamento personale e vuoi fare parte anche di tutto questo o semplicemente è un progetto a cui tu hai messo la firma e poi sei andato avanti?

Wentworth: Credo che buttarsi tutto alle spalle, in un certo senso, sia una sfida. Credo che in quanto artista, in quanto persona creativa, si è di fronte ad una scelta: o ci si ripete: “Ok, ho scritto questa cosa, l’ho consegnata ad Hollywood e so che verrà modificata, cambiata…” In cucina, c’è sempre più di uno chef, quindi, si tratta di un processo collaborativo, perciò, alla fine, o devo farmi andare bene questa cosa, oppure, insisto che questa sia una cosa sacra, che deve rimanre intatta e la lascio in un cassetto e nessuno alla fine godrà del progetto, perché appunto non verrà mai realizzato. Ho optato per la prima scelta. Mi emozionerebbe vedere il prequel realizzato perché analizza i personaggi, gli attori, più in profondità. Quello che rispetto di più di un film e dei suoi tentativi di creare queste rappresentazioni in eslcusiva è che essi, da un certo punto di vista, seguono un modello televisivo, ovvero, permetto ai telespettatori di trascorrere più tempo con questi personaggi e di puntare in queste storie in modi differenti. La televisione ci permette di indagare la personalità emotiva di un personaggio più nel profondo, cosa che non ci permette di fare un film di due ore. Quindi, andare al cinema diventa forse andare a vedere prima di tutto la trama e poi la caratterizzazione e l’emotività. Al contrario, la televisione ti serve il tutto con comodità.

Intervistatore: Trovo complicato il fatto che il cinema abbia cominciato ad adottare il modello televisivo. Voglio dire, molte persone, lo sai, parlano di quanto sia diventata bella la televisione negli ultimi 10 anni, inoltre, in TV c’è la pubblicità ed è necessario che ci sia perché entrano in gioco gli interessi delle aziende e lo so che non è così per tutti i programmi, ma quando si tratta di un film, credo che ci troviamo di fronte ad una situazione diversa e di fronte ad un mezzo che non dovrebbe essere adattato a qualcosa di diverso da ciò che è perché potrebbe non essere adatto. Non credo che sia una cosa buona, no?

Wentworth: Beh, se il film è girato bene credo che ci sia tanto da apprezzare. Ho amato l’ultimo Avengers, non ricordo tutto quello che sia successo nei capitoli precedenti, ma non per questo mi è piaciuto meno e la stessa cosa vale per The Huger Games, che credo che sia una serie fatta molto bene. E sì che è un modello molto televisivo, ma hai l’opportunità di passare del tempo con dei personaggi a cui ti affezioni.

Intervistatore: Non che tu escluda la Filosofia, ma… quali sono le cose che cominci a fare quando cominci a scrivere? Ci sono delle cose particolari che fai, c’è un modello che segui, c’è qualcosa che aiuta la tua ispirazione?

Wentworth: Sai, di solito una storia devo sentirla mia prima che mi sieda e cominci effettivamente a scrivere, perché fissare quel foglio vuoto può essere spaventoso. Tuttavia, mi domando se quello che ho scritto ha rivelato qualcosa di me, che magari mi fa sentire un po’ a disagio, un po’ in imbarazzo, se dovessi renderlo pubblico e questa è anche la mia filosofia in quanto attore. Una volta, uno dei nostri coach, ci ha fatto una lezioncina. Era un giovedì mattina e ci disse: “Allora, che di voi qui presenti vuole essere una star?” E noi tutti che cominciammo ad alzare la mano, dicendo: “Io, io naturalmente, sono qui per questo, non aspettiamo altro” e blah blah blah… e poi il coach ha detto: “D’accordo, ora voglio che andiate a casa e facciate una lista. La prima dovrete intitolarla ‘Le cose che non voglio che nessuno sappia mai di me’… e fate poi una lista su voi stessi — cose che non vi piacciono di voi, magari qualcosa che avete fatto e della quale non siete orgogliosi, tipo chi siete voi in realtà quando le porte di casa e le tende sono chiuse. Fate solo una lista di tutte le cose che non vorreste mai che gli atri sapessero di voi e poi fatene una seconda, che intitolerete ‘Le cose che mi faranno diventare una star’… E quando la lista sarà completata, trasferite sulla seconda le cose che avete scritto sulla prima, perché è questo che il pubblico vuole vedere. Il pubblico vuole vedere la vostra umanità, i vostri limiti, la vostra oscurità, la vulnerabilità che il telespettatore medio non ammetterebbe di avere nella sua vita reale, perché noi tutti siamo d’accordo che c’è un certo modo di comportarsi ed un certo modo di interagire, ma andremo a vedere solo quei film i cui protagonisti dicono e fanno cose inappropriate, perché il telespettatore vivrà sempre quell’esperienza indiretta che può essere catartica e persino curativa.

Intervistatore: Ci sono degli esempi che puoi farmi, di esperienze simili che hai vissuto e che hanno avuto delle ripercussioni nella tua vita, situazioni in cui hai scritto qualcosa in cui ti sei esposto e che, allo stesso tempo, ti hanno arricchito?

Wentworth: Beh, credo che Stoker non sia un film che da’ un messaggio, non mi piacciono i film che lanciano un messaggio, non mi piace essere assillato dagli obiettivi personali o politici di qualcuno. E’ un film che serve ad intrattenere il pubblico, ma allo stesso tempo, se si cerca bene si trovano dei contenuti e, da un certo punto di vista, si racconta la storia del coming out, la storia di una persona giovane che, in un certo senso, diventa indipendente. Quindi, nella stesura di quella sceneggiatura c’è di sicuro un accenno alla mia vita o a quale punto del viaggio mi trovassi in quanto uomo ed in quanto anima.

Intervistatore: A questo proposito, vorrei complimentarmi con te per come hai agito nei confronti di San Pietroburgo. Hai declinato il loro invito e lo hai fatto in un modo davvero molt elegante e pubblicamente, mostrando il tuo supporto contro il ‘regime’ anti LGBT della Russia, particolarmente duro — onestamente, credo che sia un regime particolarmente severo. Da allora, cos’è successo nella tua vita, hai ricevuto nuove opportunità, magari connesse all’attivismo, opportunità che parlano? Quel genere di opportunità, insomma.

Wentworth: Beh, ho avuto molte opportunità di impegnarmi in cause ed organizzazioni benefiche che per me hanno un significato, come la Human Rights Campaign o il Trevor Project. A livello personale ed artistico, non so dirvi se il mio coming out abbia avuto un impatto sulla mia carriera perché, come ho detto prima, non partecipo alle conversazioni durante le quali si sceglie il cast di un film. Dico solo che una delle cose che di più apprezzo del personaggio che interpreto in The Flash, Captain Cold, il cattivo dei fumetti, è il fatto che egli sia sempre se stesso, 24h su 24. Il suo pensiero è sempre coerente con le sue azioni. Quindi, se chiedete a Captain Cold chi sia, lui vi dirà la verità: “Sono Captain Cold”. Non c’è un momento della giornata in cui lui non sia Captain Cold e questo lo trovo eroico perché lui dice sempre la verità… il che, per contrasto, rende le cose complicate per l’altro eroe, quello tutto d’un pezzo, che indossa la maschera, che lotta con i suoi segreti, la sua doppia personalità. Se chiederete a lui chi sia, probabilmente non vi dirà la verità e, secondo me, in quel momento, quell’eroe si comporta in un modo che non è esattamente eroico. Credo che questo sia uno degli aspetti che attira la comunità LGBTQ al fumetto. E parlo soprattutto dei ragazzi, perché sono loro che si relazioneranno alla storia di qualcuno che è stato disegnato per sentirsi come loro si sentono, diversi. E’ un inconveniente, un ostacolo per cui potrebbero venir puniti o perseguitati. Però, alla fine, inciampando in quella differenza, possedendo quella differenza e scoprendola, ci si rende conto che, a dire il vero, è qualcosa di speciale, di unico e questo mi fa sentire forte.

Intervistatore: Belle parole. Credo che a questo punto il pubblico possa farti delle domande. Se solo potessimo avere altri microfoni… sì, ce li abbiamo

Wentworth: Vorrei potervi vedere tutti…

Intervistatore: Riesco a malapena a vedere… qualcuno ha alzato la mano? Ne vedo una da quella parte.

Wentworth: Quanto tempo impiegavi a fare quei tatuaggi? LOL

Intervistatore: Altre domande?

Wentworth: C’è un microfono?

Prima domanda: Sono felice che tu sia qui a Cracovia. Qaunto ha influito la tua vita privata in The Loft?

Wentworth: Non credo che la mia vita privata c’entri molto, ma sono comunqe felice che mi sia stata data l’opportunità di interpretare un personaggio diverso da Michael Scofield. Michael era così implacabilmente giudizioso ed una delle conversazioni che ho avuto con gli autori di PB è stata: “Quattro anni ad interpretare Michael. Michael ha le mani sporche di sangue, è responsabile del caos e solo perché vuol fare evadere suo fratello di prigione, quindi, non può permettersi di innervosirsi o di incupirsi”. E loro mi hanno risposto: “Indubbiamente, ma rimane comunque un eroe”. Perciò, in The Loft ho avuto l’opportunità di interpretare qualcuno che non è l’eroe ed ho trovato nel personaggio una libertà creativa, perché essere l’eroe ti carica di una certa responsabilità, cosa che non è successa in The Loft ed il che è stato liberatorio.

Intervistatore: Ora che reciti e scrivi, due aspetti ognuno con la propria creatività, quale preferisci? Credo che sia interessante il fatto che se tu, in quanto attore, da un punto di vista collaborativo, nulla dipende da te, ma nella scrittura, quindi tu in quanto autore, al contrario, tutto dipende da te finché non consegni la sceneggiatura — Come riesci a capire se vuoi scrivere o recitare?

Wentworth: Entrambi rappresentano una sfida creativa, ma possiedono anche dei lati negativi e delle cose che per me sono dei problemi in termini di controllo e resa, controllo creativo ed accettazione del processo. In quanto autore, ho imparato di aver bisogno delle persone. Sono stati un paio di anni molto solitari, quelli trascorsi a scrivere nel mio salotto. Essere un autore vuol dire essere un solitario. E’ qualcosa che si può fare solo quando si è soli e a me mancava il contatto con la gente, avere un lavoro, far parte di una comunità, di un cast, che fosse per un film o per una serie televisiva e lavorare con loro per 12 o 14 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, spesso anche per mesi e mesi all’infinito. Dopo tutto questo tempo, si crea con le persone un legame, una connessione perché dopo tutto quel tempo è come essere in trincea insieme e tutto questo mi mancava, ecco perché, ora come ora, mi sto concentrando sulla recitazione. E forse un giorno tornerò a scrivere, o forse no, ma so per certo che, a livello personale, ho bisogno di stare in contatto con le persone ed ecco perché mi concentrerò sulla recitazione ancora per un po’.

Seconda domanda: Stoker era fantastico. Hai un altro film in uscita, The Disappointment Rooms, anch’esso un thriller. E’ questo il genere che preferisci?

Wentworth: Uno dei tanti…

Seconda domanda: Okay. Hai partecipato alla scelta del cast? Perché il cast di Stoker è brillante… erano questi gli attori a cui pensavi, mentre srivevi la sceneggiatura? O la loro scelta non è dipesa da te?

Wentworth: Non ho avuto voce nella scelta del cast di Stoker, ma la cosa strana, ti dirò, è che pensavo a Matthew Goode mentre scrivevo il personaggio dello zio Charlie, dopo aver superato la fase in cui io mi vedevo come lo zio Charlie. In fase di scrittura, dunque, pensavo a Matthew Goode e pensavo tra me e me “non sarebbe uno zio Charlie fantastico?”. Ed in quanto autore, pensare effettivamente a qualcuno che potesse interpretare quella parte è stato d’aiuto perché ho potuto scrivere pensando alla sua voce ed alla sua sensibilità.

Intervistatore: Ora che abbiamo parlato di The Disappointments Room, puoi dirci qualcosa su questo film?

Wentworth: Sì… è una storia di fantasmi, basata su fatti realmente accaduti, basata su come noi, in quanto società, trattiamo una certa categoria di persone — non posso dirvi molto perché non voglio rovinarvi la sorpresa — vi dico solo che il regista è DJ Curroso e la protagonista è Kate Beckinsale e credo che uscirà il prossimo Settembre.

Intervistatore: Sembra interessante — Altre domande?

Terza domanda: Ammiro Captain Cold, il modo in cui lo interpreti lo rende uno dei migliori cattivi dell’Universo. Ti aspettavi che Captain Cold comparisse in più di un episodio e che magari ottenesse anche uno spin-off?

Wentworth: Non ne avevo alcuna idea. I produttori mi avevano detto che nei fumetti era un cattivo importante e che c’era la possibilità che nella serie sarebbe potuto comparire per più di un episodio, ma non c’era alcuna garanzia, così ho pensato solo a dare il mio meglio ed oltre allo humor, al limite e alla cattiveria, mi sono concentrato sul trovargli dei lati umani, perché, in fin dei conti, oltre agli effetti speciali ed ai super poteri, questi personaggi devono essere credibili fino ad un certo livello — devono avere radici in un’esperienza autenticamente umana — quindi, trovare i pezzi del mio personaggio, che è un cattivo vero e proprio, per me è una cosa umana, che parla di ciò che è essere uomo ed è stato importante per me. Ed un’altra delle cose che mi è piaciuta di più di Captain Cold, in riferimento al suo rapporto con Flash, è che Flash ha dei problemi con suo padre ed anche Captain Cold, perciò da questo punto di vista, i due personaggi sono legati e persino si rispecchiano l’un l’altro. E questa è stata una cosa interessante per me.

Intervistatore: E’ più difficile trovare qualità umane in personaggi osannati, super cattivi e via dicendo?

Wentworth: Beh, è stata una domanda logica a cui io ho dovuto rispondere: fanno delle cose cattive — Perché? Cosa scatena quest’atteggiamento? Ricordo le parole di Anthony Hopkins quando ha descritto brevemente il processo che lo ha portato nella testa di Hannibal Lecter. Non si trattava di dare forma a questo strepitoso uomo nero, al di là del cattivo ragazzo, la carne ed il sangue, un essere umano del tutto comprensivo, ma bisognava dare forma ad un uomo, che deve riflettere alcuni dei suoi lati più oscuri e, per me, recitare ed essere su un set rappresenta un’opportunità in un ambiente strutturato, molto sicuro, per attraversare quei luoghi oscuri, che non attraverserei mai nella mia vita quotidiana, perché… probabilmente, mi sbatterebbero in prigione…

Intervistatore: Domande…

Quarta domanda: A proposito di stranezze… ti rispetto molto per quello che hai fatto… (Puoi fare un cenno con la mano). Secondo te, un personaggio pubblico, come potrebbe aiutare a migliorare la situazione della comunità LGBTQ in Paesi come la Russia, ad esempio.

Wentworth: Credo che questa sia una bella domanda. Credo che si possano dare diverse risposte. Di certo, è una domanda complicata. Puoi essere a favore, presentarti a determinati eventi, prestare la tua voce per determinate cause e queste sono state tutte cose importanti per me, ma allo stesso tempo, puoi continuare anche a fare l’attore, rimanere in vista. Ho pensato molto a quello che vuol dire essere un attore apertamente gay in una serie televisiva e per me credo che sia un’opportunità unica, perché da fan, guardando qualcuno in TV, che entra in casa mia settimana dopo settimana, anno dopo anno… questo qualcuno per me diventa una persona di famiglia, quindi, se quel qualcuno decide di raccontare la verità, è come se facessi posto per lui, esattamente come farei per un membro della mia famiglia che ha deciso di fare coming out. Quindi, per le persone che crescono in una comunità, dove forse non ci sono persone apertamente gay, o non ci sono affatto persone gay, vedere qualcuno in TV che è apertamente gay o un personaggio che è gay, serve a creare un certo grado di consapevolezza e credo che questa cosa sfidi queste persone ad accettarsi e ad aprirsi in modi che non farebbero comunemente.

Intervistatore: Bella domanda, grazie.

Quinta domanda: Una foto, per favore? Vedremo… Prison Break… una fine emozionante… hai avuto una qualche influenza sul finale?

Wentworth: Mi stai chiedendo se è stata colpa mia?

Quinta domanda: E’ venuta a te l’idea del finale? E se potessi averne un’altra, come faresti finire la serie?

Wentworth: Ho deciso io come terminare PB? La risposta è no. Non credo che gli attori abbiano voce in capitolo sul finale di una serie, ma ho chiacchierato con gli autori e ci domandavamo: “Michael ha fatto tante cose, molte persone sono morte per causa sua, si merita davvero il lieto fine con la sua fidanzata ed un figlio in arrivo? Ne vale la pena o è giusto che paghi invece lo scotto? E credo che sia molto Michael Scofield sacrificarsi per salvare le altre persone — lo so che sto rovinando il finale a chi non ha ancora visto la serie, scusatemi — perciò per me ha senso che la storia sia terminata in quel modo, ma per il pubblico mi rendo conto che sia stata una sfida e forse anche una delusione. Ma vi do una bella notizia: è probabile che PB torni con il reboot — e ancora presto per dire se ci sia effettivamente qualcosa di concreto, ma i produttori ne stanno parlando ed anche i fan sembrano essere interessati al progetto. Ma la prima priorità è quella di trovare una storia che valga la pena di raccontare, perché il reboot, se come un capitolo a parte, non ha una storia che valga la pena di essere raccontata, allora non dovremmo neppure prenderci il disturbo di farlo. Sarebbe solo una delusione per tutti, ma c’è comunque la possibilità di una serie limitata per PB o una reunion. Vedremo.

Sesta domanda: Universo DC e Universo Buffy — mitologia. Gli attori vengono aiutati a…

Wentworth: Potresti spiegarti meglio, scusami.

Sesta domanda: Ti distrae quello che succede intorno a te mentre reciti?

Wentworth: Cerco di non farlo, a meno che non diventi necessario. Alla fine della giornata, cerco di mantenere la semplicità — Sono un attore, mi presento sul set, recito le mie battute, do vita al personaggio e poi quando sono sul set a girare qualcosa come The Flash, sono semplicemente lì a colorare un angolino dell’Universo DC. Il resto, i trend, la comunicazione transmediale… non so neanche che cosa voglia dire, a proposito… ma credo che un significato ce l’abbia… non presto attenzione a tutto il resto perché si finirebbe col pensare troppo alle aspettative del pubblico. Preoccuparmi di cose del tipo: “Oh, questo personaggio esiste dagli anni ’50, oppure, devo leggere tutti quei fumetti, come tutto questo può prendere forma in una serie televisiva, ha senso? Sto interpretando il personaggio nel modo giusto? Queste sono cose che ostacolerebbero solo il lavoro. Credo davvero che queste cose possano ostacolare il lavoro di un attore, perciò mi sono approcciato semplicemente essendo consapevole che questo personaggio esiste già, che ha già un suo fanbase, che io rispetto tutto questo, ma penso anche che qualunque cosa scritta nel copione corrisponda a verità. Interpreto questo personaggio come me lo hanno descritto gli autori, essendo anche consapevole che loro vogliono modificare la mitologia esistente e che non vogliono darvi solo le cose che vi aspettate, anche perché credo che questo porterebbe inevitabilmente alla delusione, perché è esattamente quello che vi sareste aspettati. Credo che la cosa giusta da fare sia modificare un po’ le cose, ma restando sempre fedeli all’originale e questo è un processo complicato, che non rientra nemmeno nelle mie competenze. Anzi, sono contento che queste siano competenze che spettano ad altri ed ho fiducia che tra le mie e le loro idee creative riuscirò ad interpretare un Captain Cold rispettoso, ma callo stesso tempo, anche un Captain Cold che non vi sareste mai aspettati di vedere.

Intervistatore: Direi che abbiamo tempo solo per un’altra domanda ancora.

Settima domanda: La mia è più che altro una domanda personale perché ho fatto delle ricerche ed ho letto che tu hai interpretato il ruolo di Paris nella versione Shakespeariana di Romeo e Giulietta, giusto? Ti piace Shakespeare, anche perché se non sbaglio eri uno studente di Letteratura Inglese.

Wentworth: Sì, lo ero.

Settima domanda: Sto scrivendo la tesi per la mia laurea specialistica, si intitola ‘I Cattivi di Shakespeare’. Volevo sapere quali fossero le tue opinioni, se ne hai. Chi credi che sia uno dei cattivi di Shakespeare? Magari il più cattivo?

Wentworth: Non è che io me ne intenda molto di Shakespeare, ho frequentato un paio di lezioni mentre ero al college ed amo il suo lavoro, ovviamente, ero contento di essere stato assunto, ero contento di ricevere un assegno mensile, ma come ho detto prima, non è su questo che mi concentro. Ovviamente, da un certo punto di vista, Paris può essere considerato uno dei cattivi — dipende dalle sue interpretazioni — sebbene sia cattivo, è qualcuno che ami odiare… comunque hai sempre bisogno di un personaggio che ami odiare, questi personaggi sono divertenti… Perché fa quello che fa e come giustifica il suo comportamento… quali sono le sue patologie, le sue fissazioni… noi tutti abbiamo delle patologie, delle fissazioni, noi tutti abbiamo passato del tempo a cercare di convincerci che qualcosa potesse o non potesse essere vera così che possiamo continuare ad andare avanti con la nostra vita. Ed in questo modo, quando ti concentri su questi aspetti, hai trovato un lato umano anche nel personaggio cattivo. Forse, non lo comprendi ma puoi cercare di capirlo.

Intervistatore: Questa è l’ultima domanda e vorrei sapere quali sono le cose che ti piacciono. Lavori sia al cinema che in TV, hai studiato Shakespeare, ti sei laureato in Letteratura Inglese… cosa ti piace leggere? Quali sono le letture che preferisci, che cosa hai letto di recente che ti è piaciuto?

Wentworth: E’ triste dirlo, ma una volta leggevo i classici ed essendo stato uno studente di Letteratura Inglese quelli erano il mio pane quotidiano. Ora riesco a trovare il tempo solo per leggere qualche rivista. Sono un grande fan del New Yorker. Per quanto riguarda le cose che amo guardare, mi piacciono molto i documentari, ma in questo periodo tendo anche a guardare i Reality Show — molto più che i film drammatici. Per quanto riguarda i Reality Show, credo che la maggior parte siano programmi che seguono un copione, comunque sono un grande fan di programmi come Top Chef, Project Runway, c’è un programma che si chiama Intervention — guardo questo programma e tutte le volte mi si spezza il cuore. Più cresco e più mi interesso alle cose che accadono nel mondo e mi piace seguire quelle storie che si occupano di questo e non quelle storie che sono una vera fuga dalla realtà — questi programmi non mi informano di quello che accade nel mondo giorno dopo giorno.

Intervistatore: Interessante — a me non piacciono molto i Reality Show, ma quelli che hai elencato hanno del contenuto su cose che sono state fatte o successi raggiunti — questi sono i programmi che hanno un senso per me — e non quelle commedie stupide che parlano di gente noiosa.

Wentworth: Una volta guardavo anche quelle — il mio piccolo, sporco segreto…

Intervistatore: E completiamo l’opera dicendo che guardavi anche le Kardashians… Grazie a tutti per essere stati qui questa sera, di nuovo Wentworth Miller.

Wentworth: Grazie. Grazie tante.

Thank you so much to Jane Veronica for handing me over the transcription of Wentworth’s interview.

Andate a fare un salto sul suo blog [Check out her blog] : CafeWentLife with Wentworth Miller

Traduzione a cura di Tamara Rizzato

Una risposta a “Poland Off Camera – On Camera – Wentworth Miller”

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