Quel Tizio

that guy

by Wentworth Miller

Introduzione a cura di Miria

Traduzione a cura di Kiara

Introduzione

Il testo che segue è stato interamente scritto e poi pubblicato da Wentworth stesso sulla piattaforma scribd, (alla sua BIO di Instagram trovate la fonte). L’episodio raccontato da Went è avvenuto nel novembre del 2015, poi revisionato e condiviso nel Febbraio 2020. Dall’esordio della nota si desume che il periodo in cui Went ha vissuto questa vicenda è chiaramente durante i mesi in cui viveva in un appartamento nei pressi di Santley Park, a Vancouver, nel corso delle riprese dello show tv canadese ‘Dc’ Legends Of Tomorrow‘. Il “fratello”, a cui fa riferimento, è palesemente Dominic Purcell, suo collega in questo show tv della Dc’s Comic, nel novembre del 2015.

Questa nuova nota, che ci arriva come una delle notifiche più “roventi” e attese da mesi, è per noi fans delle sue note/saggi, come una cioccolata calda offerta da un amico. Un abbraccio inaspettato, alle spalle – vuole essere una storia per qualcuno che ha “sete di storie”, come riporta Went stesso. Potrebbe essere stato scritto proprio per noi follower/lettori, che abbiamo bramato come lupi affamati per mesi di vedere quella dicitura “written by Wentworth Miller”.

Questo post è per i fan del Wentworth Scrittore, più che per i fan di Scofield.

That Guy è chiaramente un racconto ironico dove Wentworth non si prende troppo sul serio, ma gioca con noi, ci scanzona – si scanzona. Mette in scena le nostre e le sue intime emozioni/confessioni. E chi di noi non ha mai pensato, o immaginato, oppure anche solo soffermatosi per qualche secondo, di rimanere incagliato fra i rami delle dinamiche della propria fantasia. E così avviene anche qui, proprio fra le ombre dei rami di un parco (Stanley Park – Vancouver). Ci raccontiamo storie, a volte scaborse, piccanti, avvincenti, romantiche, spaventose, imbarazzanti e ci sceneggiamo noi gli episodi della nostra serie tv preferita: la nostra quotidianità. Censuriamo quello che vogliamo, lo tagliamo, lo rimontiamo a piacere in una parte della storia che forse nella vita reale non crediamo che sia consono vivere, perchè viviamo in gabbie, dentro le paure di un giudizio o dell’autogiudizio, del gossip, dell’ipocrisia del quieto vivere, con tacito accordo della nostra coscienza. Nel film che stiamo girando mentalmente tutto è lecito, non c’è disapprovazione, tutto si incastra chirurgicamente. Si può. Nessun biasimo. E’ nella nostra storia che potrebbe accadere “qualsiasi cosa”.

Proprio perchè è talmente intimo che il testo That Guy, per volere dell’autore stesso, riporta l’avviso di “mature content” (contenuto per adulti), che annuncia così la probabilità che il suo testo e le terminologie utilizzate e scelte volutamente da lui, se pur trattate con una trionfante e schietta ironia, potranno infastidire individui dalla sensibilità particolare, e/o dalle abitudini di vita improntate al rispetto della propria idea di decenza. Proseguite in coscienza.

Si raccomanda discrezione nella condivisione. Si richiede cortesemente di riportare la fonte (che troverte alla fine di questa traduzione). Di citare sempre l'autore, di non estrapolare una frase del discorso senza citare il contesto. Si raccomanda sempre il totale rispetto per il nostro lavoro, quello della traduzione, e quello dell'autore stesso, che sono sempre a titolo gratuito. Nessuno ricava beneficio economico dalla pubblicazione e condivisione di questo testo, si esorta pertanto il lettore a non fare un uso improprio che violerebbe il copyright del testo stesso.
Si raccomanda discrezione nella condivisione. Si richiede cortesemente di riportare la fonte (che troverte alla fine di questa traduzione). Di citare sempre l’autore, di non estrapolare una frase del discorso senza citare il contesto. Si raccomanda sempre il totale rispetto per il nostro lavoro, quello della traduzione, e quello dell’autore stesso, che sono sempre a titolo gratuito. Nessuno ricava beneficio economico dalla pubblicazione e condivisione di questo testo, si esorta pertanto il lettore a non fare un uso improprio che violerebbe il copyright del testo stesso.

Traduzione

hey, fratello. hai chiaramente sete di storie. quindi avrai la tua storia.

a volte condivido un bus navetta per/da lavoro con X, mio fratello nato da un’altra madre/serie tv. nonostante l’apparenza X è un’anima sensibile, che mostra (a volte) un inspiegabile sesto senso per quello che si nasconde oltre la nostra comprensione…

comunque sia. venerdì sera eravamo in auto, tornando a casa, e sono sceso per primo. appena ci siamo fermati vicino al mio appartamento mi fa, “stai attento questo weekend.”

non era il nostro solito modo di salutarci.

faccio una pausa, una mano sulla portiera, un piede sul bordo del marciapiede. dico “ok. lo sarò.” poi esco, le sue parole mi si ripetono in testa. mi chiedo cosa X volesse dire, prendo una nota mentale per ricordarmi di chiederglielo quando l’avrei rivisto lunedì…

taglio al sabato.

ora ho l’abitudine, nei giorni liberi, di fare 2-3 ore di passeggiata attraverso ___ park, la risposta della città di ____ a quello centrale [NDR: Wentworth si riferisce, probabilmente, al Central Park di NYC] ma meno curato. ci sono recessi che danno l’impressione (a questo topo di città) di stare in una località selvaggia… luoghi silenziosi, deserti con sentieri polverosi e tortuosi dove, accanto a un idrovolante in cielo o al ciclista arcigno che passa, è possibile sentirsi tagliati fuori dalla civiltà…

non è dov’ero quando questa storia ha/ha avuto luogo.

ero piuttosto vicino alla civiltà, non molto addentrato nel parco e a due passi dalla diga che lo serpeggia da un capo all’altro. e in questo pomeriggio aggressivamente piacevole (il sole splende, la brezza che soffia), c’era molto fervore – bambini, cani, oche, gabbiani, pattinatori, gente che corre, carichi di turisti e qualche anima coraggiosa curva sulle griglie e sui tavolini da picnic, godendosi l’ultimo pasto all’aperto prima che l’inverno colpisca…

ero su un sentiero parallelo a questo.

potevo sentire il fervore, vedere la folla attraverso gli alberi, ma ero da solo. il che è strano (col senno di poi), in pieno giorno in un weekend affollato. ma per il momento non c’era nessun altro lungo/su questo/mio sentiero in particolare. il che era delizioso. costeggiato da sequoie. probabilmente non “invecchiate” (qualunque cosa significhi), ma abbastanza cresciute, e abbastanza alte, da coprire il cielo. lasciando il suolo ombroso e cupo. muschioso e malinconico. carico di atmosfera. e così via…

appena ho girato un angolo è apparso un uomo, si muoveva verso di me velocemente, mani in tasca. ci siamo incrociati… e sono stato scopato. scopato con gli occhi. per essere precisi.

ha continuato a camminare. io ho fatto lo stesso.

non mi sono voltato per vederlo andare via. quello che ho fatto è stato pensare, “ah. sono in quella parte del parco.” perché in una grande area urbana in cui è presente sia un parco che una popolazione gay, c’è quella parte del parco. dico “gay” perché non c’è, per quel che so, sesso etero (anonimo, gratis e con coinvolgimento figurativo) disponibile, nel parco di ____. se ci fosse, la popolazione maschile etero sarebbe ben rappresentata.

quello che mi ha sorpreso (a parte la scopata con gli occhi) è stato quanto fosse vicina quella parte del parco alla strada principale. se avessi dato un’occhiata attraverso gli alberi dal punto in cui ero (cosa che ho fatto), avrei potuto vedere dei bambini nel parco giochi. una coppia che lanciava un frisbee.

no, questo non era un fan. non c’è stata quella reazione ritardata, nessuno shock per avermi riconosciuto. mi ha visto. e quello che ha visto è stato una potenziale scopata. non “quel tizio che era in___.” cosa che, potresti ribattere, significa che non mi ha visto. tipo l’ultimo giro al bar dopo alcuni (più di qualche) drink, potrei essere stato chiunque. chiunque (quasi chiunque) al mondo.

comunque sia. ho fatto altri 20 passi, sempre senza voltarmi, fermandomi ad ammirare una sequoia. era nodosa e contorta, una cosa da osservare. quindi ero obbligato. ho pensato di tirare fuori il mio telefono per fare una foto, ma prima che potessi decidermi ho sentito lo scricchiolio degli aghi di pino. stava tornando indietro. mani (ancora) in tasca, indossava scarpe inappropriate per il tipo di terreno (una specie di mocassino). un maglione a girocollo, calzoni firmati. (la gente dice ancora “calzoni?”) era bianco. ben delineato. non quello che chiameresti bello (faccia troppo emaciata dalla tensione) ma attraente. e giovane. tra i venti e i trent’anni. qualcuno sarebbe contento di portarlo a casa per presentarlo a sua madre.

ancora con la scopata con gli occhi.

quindi l’abbiamo fatto. proprio lì nei cespugli.

per scherzo.

ma ci hai pensato, per un secondo, e io no?

ci hai pensato, per un secondo, che avrei potuto?

quindi l’ho fatto.

per scherzo.

solo per un secondo.

innanzitutto non era il mio tipo (di cui ce ne sono diversi). e inoltre non sono – e mai lo sono stato – a mio agio con il MPA (manifestazioni pubbliche di affetto). non tengo neanche la mano in pubblico. quindi l’idea di accettare questo… invito implicito, da uno sconosciuto, per poi puntare dritto alla più vicina grotta con l’intenzione di… qualunque cosa accada nelle grotte… è ridicolo. quasi. 99 per cento. 99 per cento ridicolo. ok 98 per cento. 98.5 per cento ridicolo.

perché questa è la/la mia verità: ero isolato. e solo. alla deriva in una nuova città in un paese straniero. e lui era, come ho detto, attraente. evidentemente interessato a… qualcosa.

hey. cerchiamo di essere chiari. non ero veramente tentato. non sono quel tipo d’uomo (non sto giudicando. semplicemente non è roba per me.)

e (ed è un “entrambe le cose/e” non un “nessuno dei due/o”), su quel sentiero, in quel bosco, con il fiato improvvisamente corto con il mio cellulare per metà fuori dalla mia tasca, una parte di me (non quella parte), a cui piace sognare ad occhi aperti, costantemente, abituato a – esperto in – provare varie maschere/travestimenti, incline a vari impulsi e inclinazioni (legali o poco meno), per ragioni professionali, perché è il mio lavoro – e lo è stato per quasi due decadi – nel ruolo dei fratelli minori e dei padri assenti, super cattivi e ingegneri civili, cose che non sono e mai sarò (non NVR [NDR: acronimo riferito a Nella Vita Reale]), la parte che è ben pagata per eseguire qualunque cosa in qualunque momento in qualunque posto con chiunque ha pensato, “se fossi quell’uomo? su questo sentiero? in quel bosco?” una parte di me ha pensato, “con chi sarà questo rendezvous pomeridiano? veramente?” con chi si ha qualunque rendezvous? si fa nel pomeriggio, oppure? in quel caso da solo? con il mio riflesso?

siamo capaci di tante cose, tu ed io. legali o poco meno. la differenza è che io eseguo. o faccio finta. “la recitazione è una scusa per essere inappropriati,” ha detto il mio maestro. è vero. la recitazione richiede/sviluppa – a parte un’immaginazione (ultra) attiva – una certa moralità flessibile, una certa collezione di (capacità) muscoli da allenare tra ”azione” e “taglia”. queste cose non svaniscono, non smettono di funzionare, nel momento in cui si mette fuori il piede dal palco. (sto dicendo che gli attori sono a- o immorali? no. sto dicendo che non andrei a cercare suore in una taverna.) hai pensato, per un secondo, che potrei uccidere qualcuno?

perché l’ho fatto. più di una volta.

per la telecamera (ovviamente). per il tuo divertimento (il tuo e quello della gente). quando il copione l’ha richiesto, sono “stato lì”. quel posto. dal punto di vista emozionale. dal punto di vista energetico. mettendo in scena in maniera quanto più realistica e autentica possibile l’atto di uccidere, scena dopo scena, finché il regista non era soddisfatto. quando il copione l’ha richiesto, sono entrato in una caffetteria affollata come me stesso, a pranzo, guardando oltre le cheerleader che complottano e i giocatori di football infortunati, i mostri pesce e i soldati morti e ho trovato il mio killer – lì – seduto da solo al tavolo più lontano, occhi bassi, mangiando in silenzio, guardando il momento in cui si è pulito la bocca, alzandosi mentre nella stanza cadeva il silenzio, poi è venuto con me per occuparsi… di chiunque io/lui/noi avevamo bisogno di occuparci. quando il copione l’ha richiesto.

se conosco il mio killer, e dove posso trovarlo, nel mio io, potrei dimenticarlo? ora so come ci si sente? il suo cuore? nel mio petto? la sua mano nella mia? come se la sua fosse quella reale e la mia solo un guanto? posso dimenticarlo? non saperlo? preferiresti che l’avessi fatto? o almeno aver fatto finta?

ok. facciamo finta.

ma ricordami di non dirti che un’altra volta, in una città diversa, quando ero seguito da due giovani uomini che mi avevano adocchiato per strada, chiamandomi “Scofield” e poi, quando una stretta di mano e “ciao” non sono stati sufficienti, mi seguivano, mi perseguitavano mentre camminavo più veloce, irritato, desiderando di non aver tentato di scappare attraverso il parco perché ora eravamo soli, passando velocemente attraverso un tratto appartato mentre facevano il giro, prendendomi in giro e chiamandomi in una lingua che non capisco, felici di aver trovato un modo per colpirmi dentro, felici di vedere che ho paura ma senza capire il vero motivo… ho paura, ma non di loro… mentre andiamo avanti, insieme, in questo gruppo di malcapitati, i miei occhi scrutano l’erba/il terreno per un ramo di buone dimensioni o, meglio ancora, un lungo tubo di piombo con un’estremità arrugginita… qualcosa che posso usare da affondare nei fori dei teschi… e a differenza degli adolescenti nei vecchi film dell’orrore non li abbatterò e poi correrò, no… continuerò fino a quando non sarò sicuro (abbastanza sicuro) che non si alzeranno per seguirmi… non così presto… o mai più…

alla fine abbiamo attraversato una fila di alberi, emergendo, a caso, di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti… Ho camminato velocemente attraverso il traffico arrivando sul marciapiede di fronte, appoggiato ai cancelli, respirando a fatica, ad una decina di metri da due uomini con le pistole di guardia lì in piedi… dall’altra parte della strada, gli uomini che mi avevano inseguito hanno salutato con la mano, hanno sorriso e si sono voltati, tornando indietro da dove eravamo venuti, meno uno…

puoi incontrare tutti i tipi di persone nel parco. nei boschi. compreso te stesso. (o te stessi.)

nota a margine: scopare la gente e fottere il cervello di qualcuno [NDR: nel testo originale Went scrive “fuck people” e “fuck up people” inteso come: incasinare, far macelli, bruciare il cervello a qualcuno] non sono la stessa cosa. lo so. sto facendo esempi estremi. cose che vanno oltre la nostra comprensione. (per te.)

dov’ero rimasto? ah già. la (potenziale) scopata.

a questo punto lo sconosciuto con i calzoni ha continuato a camminare superandomi… e si è fermato. forse a 18 metri di distanza. guardo nella sua direzione, lo vedo in piedi di spalle, so che mancano pochi secondi prima che si giri, ricominci ad avvicinarsi di nuovo… e poi? noto la tensione nelle sue spalle, così alta che quasi raggiungono le sue orecchie. sento la mia che si trasforma in compassione. l’ha mai fatto prima o no? sono il primo o il cinquecentesimo? (o l’ultimo?) Sono consapevole di essere stato davanti a questa sequoia più a lungo del naturale o del necessario. non sto scattando foto. non ho intenzione di fare foto. Sono solo stupidamente fermo qui, con il telefono per metà fuori dalla tasca. la mia presenza prolungata qui (un solo uomo, solo) è diventata un segnale. un segno. o leggibile come tale. non ho passeggino, nessuna tazza di Starbucks. nessun buono d’acquisto, nessun alibi. Capisco, troppo tardi, che non sto più scrivendo questa storia. non controllo più la scelta delle mie personalità. come devo essere decifrato. (lo sono mai stato?) Capisco di essere vulnerabile, estremamente, per questo ragazzo, che mi ha assegnato – e continua ad assegnarmi – un valore particolare. un ruolo particolare. sono – sono diventato – tutto. facendo nulla. semplice. come passare per un cortile della scuola durante la ricreazione (un solo uomo, solo), catturando l’attenzione di ogni insegnante e vicepreside presente… come camminare per le strade durante la notte (un solo uomo, solo), dietro una donna che si guarda alle spalle e accelera il passo… sono una bottiglia che si riempie dei “potenziali” di altre persone, uno schermo vuoto su cui proiettare le proprie proiezioni. ma nessuna di queste è reale. (giusto?) Sento la voce di X nella mia testa:

“stai attento questo weekend.”

il tempo rallenta… mi giro/stacco gli occhi dalla schiena del ragazzo, esamino accuratamente il bosco intorno a me/lui/noi. mi chiedo chi altro potrebbe essere qui. guardando. e per quale motivo. guardo indietro verso il mio compagno, sul punto di tornare sui miei passi, inizia il suo approccio finale…

guardando in basso, noto per la prima volta che sono in piedi ad un bivio. letteralmente. alla mia destra c’è il sentiero che ho percorso, lungo il quale il ragazzo aspetta. alla mia sinistra c’è una minuscola scia che si snoda in diagonale, una scorciatoia non ufficiale al parco giochi e alla gente che fa i suoi picnic. ai lanciatori di frisbee. sto vivendo un’esperienza extracorporea, sorvolando sulla mia testa. mi vedo messo in pausa su questo sentiero in questi boschi su quello che sembra un set cinematografico e niente di tutto ciò sembra reale. ma lo è. io sono qui e anche lui. anche altri potrebbero esserlo. con o senza telecamere. come prima cosa, mi chiedo che tipo di scena stiamo per girare tutti qui riuniti. “potrebbe essere un’operazione sotto copertura”, penso. “un sabato pomeriggio di rastrellamenti con la polizia, e il ragazzo è una pianta. [NDR: giochi di parole con “sweep”=rastrellare e “plant”=pianta]” questo è quello che mi viene in mente mentre mi dò il comando di muovermi di nuovo… a sinistra, lungo il sentiero verso la folla/rumore/traffico. non guardo indietro.

mentre passo dalla polvere al catrame di un parcheggio trafficato, sento i brividi sulla pelle. è umida. il cuore è più rumoroso di quanto dovrebbe essere. mi rendo conto di avere paura (di nuovo). più e più volte penso “facile”. ritrovarti (uno di loro) sulla strada “sbagliata”, da qualche parte che non ti saresti mai immaginato nel momento in cui ti/si/ci siamo svegliati quella mattina. diciamo che “abbiamo scelto la strada sbagliata” e “abbiamo preso una svolta sbagliata”, e se ci fosse solo una strada? e nessuna svolta? un secondo è “giusto”, il prossimo…

“facile.” diventare quel ragazzo che è stato arrestato per aver scopato in un parco pubblico mentre i bambini giocavano nelle vicinanze. o arrestato con il sospetto di aver scopato. o arrestato e poi rilasciato perché era innocente, ma non importa perché nessuno gli crederà ora. è una storia troppo buona per essere vera. sappiamo come sono gli uomini (gay)…

“facile” indugiare troppo a lungo e trovarti compromesso. specialmente se, agli occhi di molti, lo sei già. compromesso. stai solo confermando ciò che hanno ritenuto vero. molto tempo dopo che le accuse fossero state ritirate (supponendo che lo fossero), avrebbero avuto la soddisfazione della tua foto segnaletica online, disponibile per il download. per tutta l’eternità. colpevole è chi si comporta come tale – ecco che aspetto ha uno colpevole.

se sono spaventato sono anche, mi sono reso conto, stanco. di dover gestire – di dover monitorare – ogni mia parola e azione. il mio io. la mia mascolinità. (qualunque cosa sia.) la mia interezza e ogni parte che mi compone. il mio potere, la mia promessa. la mia debolezza. la mia minaccia. a me stesso e agli altri. reale e immaginata. ogni giorno/tutto il giorno. tutto il giorno ogni giorno.

quella notte nel mio appartamento, al sicuro (per il momento), appena ho finito di lavarmi i denti con un dentifricio completamente naturale, mi sono arrampicato su un letto appena fatto con morbide lenzuola di cotone, ho pensato: “Potrei essere seduto in una cella proprio in questo momento, non vedendo l’ora di avere notizie dal mio avvocato. ” ed ero calmo. grato che non fossi lì.

quando l’ho raccontato lunedì, quando gli ho chiesto perché ha detto quello che ha detto quando sono uscito dall’auto il venerdì prima, X mi dice: “oh, non è stato niente. solo … all’improvviso ho avuto il senso di quanto sei in realtà vulnerabile. passeggiare da solo. potrebbe succedere qualsiasi cosa. “

qualsiasi cosa.

qualsiasi cosa.

scritto nel 11.2015

corretto nel 02.2020

Fonte: SCRIBD Wentworth Miller

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