Diner

dinerStavo seduto in un piccolo ristorante sulla Colorado Boulevard l’altro giorno, gustando una buona colazione con un’amica (oltre i 40, una madre di 3 figli che lavora), quando un uomo senzatetto si è materializzato affianco a noi.
Dico “materializzato” perche’ non l’ho visto entrare nel ristorante (anche se ero seduto di fronte alla porta) e non mi sono accorto di lui che si avvicinava al nostro tavolo. Eppure eccolo li’. Alto, magro, bianco, vestito con jeans e maglietta e un berretto sporco da camionista. Sembrava avere tra i 50 e gli 80 anni. E voleva soldi.
“Avete qualche spicciolo?” fu quello che sentii prima di spostare la mia attenzione lontano da lui, cercando il contatto visivo con la mia amica dall’altra parte del tavolo. Ero sicuro che stavamo pensando entrambi alla stessa cosa. “Oddio, ci risiamo”.
Prima che potessi lanciarmi nel mio “spiacente, amico”, la nostra cameriera (oltre i 40, minuta) era già in piedi al nostro tavolo, dicendo a questo tizio di andare a farsi un giro. “Non puo’ stare qui/non dovrebbe infastidire i nostri clienti/la prego di andare via” ecc…

Ma lui non se ne va.

Invece ha inizia una discussione con la cameriera, indicando la croce al collo che lei indossa e preparandosi per una ramanzina sui temi del cristianesimo, la carità e tutta la baracca. La nostra cameriera non lo sta a sentire. “Lei non puo’ stare qui/ non dovrebbe importunare i nostri clienti/ per favore se ne vada” ripeteva, stavolta senza il “per favore”.
Per tutto il tempo io sto seduto li’ in silenzio, chiedendomi quando sarebbe finita, in attesa di chiunque sia incaricato a venire e gestire la cosa. Non sono sicuro di chi mi sto immaginando. Probabilmente il manager. Che potrebbe essere stato un uomo. Piu’ anziano. E al comando.

Lui saprebbe cosa fare.

Le cose si stanno riscaldando adesso, il senzatetto e la nostra cameriera sono adirati, le cose stanno davvero iniziando a peggiorare, siamo a 30 secondi dal passare al livello successivo di ira. La mia amica dall’altra parte del tavolo e molto tranquilla, lei, come me, sta aspettando che la cosa finisca. Tranquillità e ordine ripristinati.

E poi, mentre sto seduto guardando due donne a disagio e un uomo in difficoltà, mi viene da pensare – nessuno sta arrivando. Nessuno sta gestendo la cosa.

Sono io l’uomo. Sono io l’incaricato.

E improvvisamente mi alzo dal tavolo. Dico, “andiamo fuori, amico. Ti darò qualcosa fuori”. E il mio tono di voce non è “hey, stronzo” o “stai a sentire”. È un dato di fatto. Come “questo è ciò che sto per fare”.

E allora il senzatetto e io ci incamminiamo verso la porta insieme. E quindi siamo fuori dal ristorante, sulla strada. Allora io apro il mio portafoglio e gli porgo una banconota da 20 dollari.

E lui mi abbraccia.

Non so o non ricordo esattamente come è successo, ma all’improvviso le sue braccia mi circondano, un abbraccio con tutto il corpo da una persona senza fissa dimora.

E questa stretta è da manuale di MKP, niente mosse impacciate, niente movimenti incerti. Niente “Non ci avviciniamo troppo, ok?” lui mi sta proprio abbracciando, e dopo un attimo sono io ad abbracciarlo.

E questo va avanti per 20, 30 secondi.
Sta anche parlando sulle mie spalle. Sento le parole “veterano”, “Oklahoma”, e “il mio compleanno”. Tutto il resto e’ ovattato. Ma io anche sento “grazie, fratello”. Lo dice per tre, forse quattro volte.

E mentre guardo qualcuno che passa davanti a noi, che si volta a guardare incredulo, mentre continuo a inalare l’odore di un uomo che ha trascorso anni (decenni?) sulla strada, penso tra me e me “si, questo e’ mio fratello”.

Poi tutto è finito e lo salutai con la mano. Tornai dentro il ristorante, sgattaiolando sulla mia panca, profumando adesso come un senzatetto. E volevo piangere.

E mentre la cameriera continuava a chiamarmi “eroe” e dopo avermi fatto la ramanzina per essermi esposto al “pericolo”, io pensavo alla mascolinità e alla cavalleria e al bisogno di essere visti e ascoltati e a come io sono un uomo di 40 anni (quasi 41) che sta ancora aspettando il ragazzo incaricato di mettersi in mostra.

Ho pensato a come avrei gestito la situazione prima di iniziare il mio lavoro con la MKP sei mesi fa, e che probabilmente non la avrei nemmeno gestita. O la avrei affrontata peggiorandola. Affrontandola rubando a un altro uomo la sua dignità e la possibilità di connettersi con gli altri.

E ho pensato a come noi siamo tutti fratelli, tutti noi.

Poi ho alzato gli occhi e ho notato un uomo che ho conosciuto alla MKP, un uomo che ho visto la notte prima mentre ero seduto in un gruppo I, e stava seduto con sua moglie dall’altra parte del ristorante, gustandosi una buona colazione.
Fratelli ovunque, tutt’intorno.

 

Traduzione a cura di Kiara

 

Source

 

Una risposta a “Diner”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *