Mailbag 8.2 (12/08/2018)

Mailbag 8.2  ORIGINALE

Traduzione a cura di Lucia Salvato 


Un altro commento preso da quelli recenti. – W.M.

 

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C: Signor Miller, è possibile ritenere che alcuni “follower” reagiscano in modo maleducato, irrispettoso, aggressivo, provocatorio, ecc. per ottenere una reazione da lei? (Ho visto e sentito fan molto orgogliosi ed eccitati del fatto che lei abbia reagito (non molto positivamente) ai loro commenti non positivi. Lo stesso vale per quanto riguarda l’essere bloccati da lei). Sembra che sia la prova finale che loro siano stati notati dal loro idolo, dal loro modello di ruolo, dalla loro celebrità preferita, dal loro innamorato.

 

R: Le persone che “reagiscono in modo maleducato, irrispettoso, aggressivo, provocatorio, ecc.” non sono follower o fan. Secondo me. Sono tutt’altra cosa.

 

2o pensiero: C’è anche un’altra categoria di persone che io non descriverei come “follower” o “fan”. Anche se loro potrebbero definirsi in tal modo. (Almeno inizialmente).

 

È – è stato – commovente per me, vedere sconosciuti che visitano questa pagina che trovano quello che stavano cercando (o una parte di esso).

 

È – è stato – anche commovente vedere quando ciò non succede.

 

Gestisco questo spazio da un po’, e ho notato alcune dinamiche. Una è quella del “fan” che arriva, ad armi spianate, entusiasta di trovare me (o “me”). Lui/lei/loro pensano che cliccare il “mi piace” significa che adesso siamo intimi.

 

Questo non succede.

 

La fase 2 è quella dei Suggerimenti Utili, ripetuti di frequente, su come io dovrei gestire questa pagina, su cosa dovrei postare (i selfie), su come dovrei interagire o compiacere meglio le persone (loro). La luna di miele è finita. Siamo entrati nella fase “Ti-adoro-adesso-cambia”.

 

Questo non succede.

 

La fase 3 è quella del Criticismo, della Rabbia, delle Accuse. Non gli sta bene niente. E niente gli starà bene.  Non sono La Persona Che Pensavano Che Fossi. Sono Il Cattivo. Loro sono Le Vittime. E così via.

 

A questo punto, quelli con un certo grado di [inserire qui giudizi e proiezioni sugli sconosciuti] se ne andranno. Gli altri, che vogliono essere In Relazione Con Me, a prescindere che si tratti di una relazione positiva o negativa, rimangono. E rimangono. (E rimangono). Finché io non li rimuovo.

 

Si potrebbe dire che questi “fan”, similmente a quelli che “reagiscono in modo maleducato, irrispettoso, aggressivo, provocatorio, ecc.” hanno trovato ciò che stavano cercando. Ce l’hanno fatta. Hanno raggiunto, come tu hai suggerito, il loro obiettivo. Essere “notati”. Ed essere bannati ne era o ne è la conferma.

 

Congratulazioni? Immagino? Ciò li fa sentire bene? Li rafforza? Li conferma? Qualunque cosa succeda, ho visto questo andamento un certo numero di volte, in un certo numero di modi. E lo vedrò ancora. È una dinamica prevedibile (adesso). Un sottoprodotto della “cultura delle celebrità”. E, forse, comprensibile.

 

Ricordo di aver letto il profilo di un attore famoso, in cui un giornalista lo osservava interagire coi suoi fan. Quello che osservava era…transazionale. L’attore riceveva attenzioni. Così pure i fan. Il giornalista ha ipotizzato che quando i fan vedevano l’attore, era meno “Io vedo il Tal-dei-tali” ma più “Il Tal-dei-tali mi vede”. La loro accentuata consapevolezza dell’attore, avendolo visto sullo schermo per anni, ha creato nei fan un senso di dis-agio. Su un livello inconscio, profondo, sono stati messi a disagio dall’idea che mentre loro sapevano che l’attore esisteva, l’attore non sapeva che loro esistevano. Così, quando finalmente hanno visto l’attore – e sono stati a loro volta visti – hanno provato sollievo. Un agio nel loro dis-agio.

 

Credo che funzioni sempre così? Non lo so. Penso che si debba prendere in considerazione caso per caso, ogni fan singolarmente.

 

Quello che posso dire è che quando sono intervistato da giornalisti in paesi stranieri, (quasi) sempre mi viene chiesto. “Hai sempre voluto visitarci qui in ___?” Quello che posso dire è che quando faccio le Mailbag, (quasi) sempre mi viene chiesto, “Hai in programma di visitarci qui in ___?”

 

Alla radice di queste domande c’è, forse, una domanda comune – “Esistiamo, nel tuo radar, così come tu esisti nel nostro?”

 

Nessun corso di recitazione mi ha preparato a questo. Ad agevolare un disagio (esistenziale?) di qualche sconosciuto.

 

Né mi ha preparato sulle altre cose per le quali mi è stato chiesto di mantenere uno spazio su questa pagina. I bulli e gli sfruttatori. I bigotti e gli omofobi. Gli aggiusta-tutto. Gli psicologi improvvisati. I Convertiti che predicano le fiamme dell’Inferno e i Paranormali che insistono che io Risolva Tutto per trovare PACE INTERIORE (amico, se stai scrivendo sulla mia pagina FB “pace interiore” in maiuscolo, non sai di cosa stai parlando). Le persone che mi suggeriscono di “chiudere quella c-zzo di bocca” e di farli divertire, o quelli che minacciano di ferirsi se non li Aiuto Subito. (Un bel po’ di questo è visto e letto solo da me, grazie ai filtri di FB e ai miei filtri più rigidi). Il tutto mentre parlo di depressione, di suicidio, di problemi di salute mentale…

 

Per favore – non prendetela come una richiesta di comprensione. Nessuno può comprenderlo. O ha bisogno di comprenderlo. Tranne me. Non è nemmeno una richiesta di compassione. La compassione non mi tiene al caldo di notte. Ma l’auto-espressione è un ottimo cuscino. (Tranne quando non lo è. Di più su questo argomento, qui sotto).

 

Non è in mio potere, non è neanche il mio desiderio, andare ovunque, rappresentare tutto, per tutti. Molti di noi hanno provato qualche versione di questo. Non va a finire bene. È una ricetta per rimanere turbati. Per crollare. Riconosco che va contro il modo in cui sono fatto, contro i tipi di scelte di (stile di) vita che i miei problemi di salute mentale richiedono ed esigono. Interrompere rapporti, non dare alle persone (ad alcune persone) quello che stanno cercando, fa parte di tutto ciò. La vera domanda è… Mi sta bene questo?

 

La risposta è “Si”. (Più o meno).

 

Non perché sia entusiasmante deludere le persone o perché non me ne freghi un c-zzo. Ma perché sto imparando a mostrare più rispetto verso i miei limiti e confini. Cosa ho condiviso e offerto, qui e in altri posti – me stesso, la mia ricerca e indagine, i miei pensieri e sentimenti – mi ha portato doni incredibili… ma non senza un prezzo. Ho bisogno di rispettare, di rimanere consapevole, costantemente, del compromesso. Della disconnessione tra Come Io/Gli Altri Vorrebbero Che Fossi e Come Realmente Sono.

 

Non sei tenuto a giustificare te stesso”.

 

La gente lascia questo tipo di commento qui. In senso protettivo, penso. Grazie. Sono d’accordo. E – ed è una “e” inclusiva (la mia preferita) – questo è essenzialmente lo scopo di questa pagina. Io che spiego me stesso. È un esercizio egocentrico che pare dia benefici anche ad altre persone (o così mi viene detto). Spiegare me stesso (prima a me per poi condividere) è un modo per capirmi. Non sempre conosco la mia Verità fino a quando non la metto per iscritto, finché non articolo i ragionamenti sui Perché. Sui Come Mai. In questo spazio la mia Verità viene raccontata (gran parte di essa). Questo spesso non succede altrove. Non automaticamente. Specialmente quando sono occupato a essere (ad interpretare) Wentworth Miller. A vivere di aspettative. Le mie e quelle degli altri. *

 

“Dio come sono stanco”.

 

L’ho scritto su un pezzo di carta all’Attitude Magazine Awards nel 2016 a Londra, tre minuti prima di salire sul palco per ritirare il premio The Man Of The Year. L’ho scritto sul foglio del mio discorso di ringraziamento. Che, due minuti prima, ho appreso che sarebbe stato completamente inutile.

 

Torniamo indietro di due minuti.

 

Sono seduto al mio tavolo, in attesa che il mio premio venga annunciato cosicché possa poi andarmene. Qualcuno si china verso di me e dice, “Congratulazioni per aver vinto il premio The Man Of The Year”. Io dico, “Grazie. Ma ho vinto il premio The Leading Man”. Questa persona risponde, “No. È il premio Man Of The Year”.  Mi chino verso il mio agente, seduto accanto a me. Dico, “Pensavo fosse il premio The Leading Man”. Il mio agente dice, “Questo è quanto ci è stato detto”. Io dico, “Ho scritto un discorso, su cosa significhi per me essere un “leading man” (N.d.T. “un uomo protagonista del suo tempo”). Perché pensavo di aver vinto il premo The Leading Man”. Il mio agente dice, “Questo è quanto ci è stato detto”. Sollevo il mio discorso accuratamente preparato, che avevo provato nella mia stanza di albergo. Dico, “Non posso più usarlo”. Qualcuno si china verso di me e dice, “Signor Miller. Sarà chiamato tra cinque minuti”.

 

STACCO SU: Io nel corridoio fuori dalla sala del gala, in cerca di una penna. Ho la carta (del mio vecchio discorso) ma non ho la penna. Il mio agente torna col pennarello dalla punta più spessa che sia mai stata inventata. Sospiro, lo prendo, scrivo, “Dio come sono stanco” sul mio vecchio e adesso inutilizzabile discorso. Perché è la verità. L’unica verità della quale riesco a capacitarmi in questo momento. Il mio agente ritorna con una penna adeguata. “Eccola”. La prendo, scribacchio alcune righe, scelgo un finale. Qualcuno si china verso di me e dice, “Signor Miller. Stanno per annunciare il suo premio”. Restituisco la penna al mio agente. Salgo sul palco.

 

Più tardi, guardandolo online, ho pensato: “Non si direbbe”. Che il mio discorso sia stato scritto pochi minuti prima di essere tenuto, e che anche non dormivo da 48 ore. Il mio precedente impegno in quel viaggio nel Regno Unito era stato un discorso alla Oxford Student Union, che andò bene (Secondo me). E quando mi ritirai nella mia camera d’albergo quella notte, mi stesi a letto con gli occhi aperti, sudando e tremando, preparandomi a contrazioni che mi avrebbero tormentato fino al suono della sveglia. Alzati e risplendi.

 

La stessa cosa accadde quando tenni il discorso alla Active Mind National Conference nel 2016. Idem per il mio discorso alla cena per la Human Rights Campaign nel 2013. Anche questi discorsi andarono bene (secondo me). Hanno significato qualcosa per me. E per qualcuno, da qualche parte (confido). Ma hanno avuto un costo. Dietro le quinte. Nessuno di essi è stato gratuito. Non lo è mai. Alla mia mente piace Parlare Della Mia Verità. Alle mie dita piace Scrivere La Mia Verità. Il resto di me (il mio corpo, nello specifico) la pensa in Modo Diverso. Un piccolo tormento nel racconto del Tutto Bene Adesso. Una scocciatura alla formula Fallo Apparire Facile. Sul palco: Benessere/Va Tutto Bene. Fuori scena: Una Battaglia. “E il premio va a …”.

 

Cosa significa questo? Nel breve termine, significa meno colloqui. Meno discorsi. (Non definitivamente. Ma per adesso). Nel lungo termine significa…Da Definire. Questo è un problema “somatico”. (Apparentemente. Potenzialmente). Sul quale sto indagando. Sul quale sto lavorando. (Su questo ed altri problemi). E continuerò a farlo. Col giusto supporto. Supporto che sono fortunato abbastanza di avere a mia disposizione.

 

Significa anche costruire la mia vita – e le sue varie sfaccettature, al meglio delle mie abilità – cosicché io possa continuare a vibrare alle frequenze più salutari. Affinché possa assicurarmi che le mie pentole sul fuoco – tutte – siano al servizio della progressione ed evoluzione. Progressione ed evoluzione incessanti.

 

Ciò che non funziona viene smantellato. “Grazie. Addio”.

 

Ciò che nutre rimane. “Benvenuto. Accomodati”. – W.M.

 

Dicembre 2016. FB. “Duck’s Back (Back-up)”**

 

Questa pagina, tra le altre cose, ha fatto molta strada verso l’abbattimento del (o del mio) tradizionale rapporto tra attore e fan. Verso lo sconvolgimento consapevole o meno delle aspettative e delle supposizioni… Questo non è casuale. E ci sarà molto altro…

 

Quando sarò morto e avrò preso posto ai piedi del mio creatore (chiunque lui/lei/loro sia), sapete di cosa non parleremo? Di indici di ascolto. Di premi. Di copertine di riviste. Della mia pagina imdb…

 

Parleremo della mia crescita come uomo. Come artista. Come anima…

 

Questo è il mio impegno. La mia priorità…”


* https://www.facebook.com/notes/wentworth-miller/roles-of-a-lifetime/2087984744747790/

** https://www.facebook.com/notes/wentworth-miller/ducks-back-back-up/1821405584739042/

 

Quanto sopra non è “la verità”. È la mia verità. La mia verità del momento. Dalla quale mi riservo spazio e permesso di evolvermi ad ogni momento.