INTERVIEW Magazine. Wentworth Miller:”le definizioni appartengono ai definitori e non ai definiti”

NEW AGAIN: WENTWORTH MILLER

Written By Rebecca WalkerPhotography Bruce Weber – Traduzione a cura di Miria

Fonte: Interview 2017

QUESTA intervista è stata effettuata originariamente nel febbraio 2005 e ripubblicata da Interview Magazine il 29 marzo del 2017.

Sono trascorsi quasi otto anni dal viaggio intrapreso da Wentworth Miller, quando Michael Scofield in Prison Break della Fox giunse alla sua “elettrizzante” fine, e la prossima settimana, proprio Scofield, tornerà dietro le sbarre e sarà nuovamente in TV. Si mormora da mesi che il ritorno sarà limitato a soli nove episodi: i produttori dello show hanno già reso pubblici i loro ruoli in questa storia, i trailer sono stati rilasciati e Miller è tornato sotto i riflettori. In onore della sua risurrezione nei panni di Scofield, abbiamo ricondiviso la sua intervista dal nostro numero del febbraio 2005. (…) Qui, Miller parlava del suo primo lungometraggio che era partito come un semplice episodio pilota, diretto da Brett Ratner, quando aveva appena firmato con Fox, quello stesso pilot che oggi conosciamo come Prison Break. La quinta stagione dello show paritrà martedì 4 aprile 2017.

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Alcuni attori trovano la loro musa ispiratrice in vecchi film, altri nel mondo della fantasia. Ma per Wentworth Miller i semi, del suo commovente talento, sono stati coltivati per le strade di Brooklyn, durante un’infanzia a cavallo dentro una varietà di mondi.

Ovviamente dovevo vedere il film The Human StainAnthony Hopkins interpreta Coleman Silk, un professore nero che si fa passare per bianco. L’audacia del regista Robert Benton mi ha attirato in sala come un’esca attira un pesce. Una volta dentro in sala, tuttavia, fu Wentworth Miller, il giovane meditabondo, e decisamente affascinante, attore che interpreta il giovane Silk, a tenermi incollata alla mia poltrona. Così, recentmente io e Miller ci siamo seduti a chiacchierare. Aveva appena ricevuto la notizia di essere stato scritturato per un pilota di una serie tv, ma è stato calmo e pacato. Non mi ha per nulla sorpresa. Ho pensato proprio che fosse quel tipo di ragazzo.

REBECCA WALKER: Come me, sei biraziale. Negli anni in cui crescevi, come sei stato portato a concepire la tua identità razziale?

WENTWORTH MILLER: A dire il vero, non è stato qualcosa sui cui mi sono troppo soffermato a pensare, non fino a quando non sono entrato al college, penso sia il college che ti fa prendere coscienza di te e inizi a farti quelle domande tipo “Chi sono io?”

WALKER: Ti ha messo in ansia?

MILLER: Se lo ha fatto… è arrivato dal fatto che altre persone stavano cercando di definire me e il mio percorso. C’è una citazione a cui mi riferisco spesso, tratta dal romanzo Beloved di Toni Morrison, secondo cui “le definizioni appartengono ai definitori e non ai definiti”. La cosa bella di essere cresciuti a Brooklyn è che, proprio per la ricca diversità culturale e razziale di questo posto, nessuno sembrava pensare troppo a dove io dovevo essere collocato all’interno di uno spettro razziale. Comunque sia ci sono stati tempi in cui mi sono imbattuto in qualcuno che era interessato a scoprire di che razza fossi. Era sconcertato, e in alcuni casi, era come uno schiaffo in faccia.

WALKER: E’ stato utile essere di razza mista per quanto riguarda il tuo lavoro?

MILLER: Beh, il retroscena di chiunque appartenga a una razza mista è una vita trascorsa nell’essere mal percepiti e si deve scegliere se consentire agli altri di continuare ad alimentare quella percezione errata o di correggerla, quindi io credo di essere consapevole che l’identità e la razza sono entrambe molto più variabili, di qualcosa che è “esclusivamente” una cosa o l’altra. Recitare mi sfida a risolvere queste specifiche questioni.

WALKER: Il tuo primo film importante, The Human Stain , parlava proprio di razza e di identità, quindi so che è qualcosa di cui hai parlato a lungo. È un argomento di cui sei stanco di parlare?

MILLER: Lo ero… quando è uscito il film. Una parte di me pensava: “Non voglio essere per sempre ricordato come quell’attore della questione razziale”. Ma allo stesso tempo pensavo che il film parlasse di questioni così importanti e spesso non affrontate, è che era necessario parlarne. Sono molto orgoglioso di The Human Stain , ma non è stato un successo critico o commerciale; penso che parte di ciò sia dovuto al fatto che ha toccato temi incredibilmente complicati ma stimolanti. A parte la questione della razza, il film ci faceva interrogare su: “Quali bugie stai raccontando per superare la tua giornata? Quali maschere indossi per ottenere certi traguardi?”. E queste possono essere domande inquietanti da affrontare.

WALKER: Quando hai iniziato a recitare?

MILLER: Quando ero un bambino. Mi facevo coinvolgere in qualsiasi produzione teatrale a cui i miei genitori mi avrebbero permesso di partecipare. L’ho fatto fino al college, quando ho fatto una piccola deviazione. A Princeton tutti i miei amici stavano andando a Wall Street, in medicina o Legge; recitare non sembrava più qualcosa da prendere sul serio dopo la laurea. Quindi ho abbandonato quell’ambizione, mi sono laureato in letteratura inglese e ho scoperto che non avevo voglia di frequentare una specializzazione, una scuola di legge, una scuola di medicina o Wall Street. Tuttavia, amavo ancora il cinema e la TV, quindi ho deciso di fare carriera dietro la macchina da presa; ho lavorato per anni in quel lato del settore. Non mi pento affatto di questo percorso, perché per farlo in questo business devi avere l’anima di un artista e il polso di un burocrate.

WALKER: Come vanno le cose dal lato professionale?

MILLER:ride ] Questa è una bella domanda. In realtà, sta andando molto bene perché ieri sera sono stato scritturato per un episodio pilota.

WALKER: Congratulazioni!

MILLER: Grazie. Andrà in onda su Fox e Brett Ratner è pronto a dirigerlo. Sono tremendamente eccitato per questo. Mi era stato detto che The Human Stain mi avrebbe messo sulla mappa degli attori, e infatti il film mi ha aperto una serie di porte; ma quando ho varcato quelle porte mi sono improvvisamente trovato in concorrenza con altri ragazzi che erano stati sulle copertine delle riviste. È un gioco di nomi ad Hollywood, e la tendenza attuale è quella di infarcire il tuo film di grandi celebrità che vanno dal protagonista al ragazzo della pizza “numero 5”. Può essere un’esperienza incredibilmente frustrante. Ma alla fine della giornata devi farlo per te stesso.

WALKER: Come l’hai capito?

MILLER: Beh, ho sentito dirmi “no” un paio di volte. Solo di recente mi sono reso conto che una delle insidie dell’effettuare un provino è quella di aver sempre la sensazione di camminare in una stanza sentendosi come se fossi un ospite in casa di qualcuno, dove devi stare molto attento a non rovesciare il tuo vino sul tappeto. Quello che devi fare è entrare lì come se fossi tu il padrone/l’oste.

WALKER: Io ho una sorta di empatia per le persone per cui l’ambizione nella vita implica dover superare le stesse ambinzioni, quotidianamente…

MILLER: … devi amare quello che fai e devi averne bisogno come se avessi bisogno di ossigeno. Non c’è nient’altro che mi darebbe lo stesso livello di soddifsazione che mi da recitare, ragione per cui non riesco ad allontanarmi da tutto questo.

Insight: REBECCA WALKER, qui intervistatrice per Interview Magazine è una scrittrice, attivista e femminista statunitense. Nota per parecchi saggi e notevoli interviste sulle questioni razziali, maschiliste e classiste, Rebecca si è affermata come una delle migliori portavoci di spicco dei diritti umani e delle donne.

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