No early birds

Facebook. 25 aprile 2018. Wentworth torna su facebook e inaugura il suo ritorno sul social, dopo quasi 8 mesi di assenza, con una nota inedita. La nota in questione pare essere stata scritta nell’estate 2017 ma Went la pubblica e condivide con noi solo nel mese di aprile 2018. Debutta così la nuova versione di Wentworth su facebook. I vecchi fan che seguivano Went su fb prima della chiusura del suo account, ritrovano una pagina scevra di foto, post personali, link, friday jukebox a cui eravamo abituati, meme e articoli e si affacciano a questo Wentworth Miller 2.0. Un account totalmente verificato e gestito da lui stesso, come sempre, con sezioni note, mailbag e interviste. Eccovi l’ultima inedita nota.

ATTENZIONE:<br /> Formerly attributed to Francis Harwood, 1726/7–1783, British, active in Italy L’immagine è solo a scopo rappresentativo, NON è il busto scultura descritto in questa storia.

Scritto da Wentworth Miller  – Traduzione a cura di Lucia Salvato.

Niente mattinieri.

Stamattina sono andato a una vendita di garage. Ho parcheggiato, sono uscito, ho premuto il pulsante “lucchetto” sul portachiavi della mia auto. Whoop-Boop.

Poi di nuovo per precauzione.

Whoop-Boop.

Poi di nuovo per una maggiore precauzione.

Whoop-Boop.

 

È una vecchia abitudine (compulsione). L’ho fatto per anni. E (è facile presumere) continuerò a farlo. Tanto più che non ho mai fatto un vero tentativo per evitarlo.

 

È confortante. Rassicurante. E necessario. Di frequente arrivo a destinazione Estraniato Da Me Stesso. Non “presente”. Con la mente che ancora riflette su…Oh non saprei…su Ogni genere si cose. Su quanto era terribile il traffico. Sullo st-nzo che mi ha tagliato la strada in tutta fretta per fermarsi al vicino semaforo rosso. Su cosa vorrei per cena. Sul lanciatore di riserva dai bei polpacci. Nulla. Qualsiasi cosa. Tutto insieme.

 

Mi aiuta ad alleviare la parte del mio cervello che è vulnerabile alle paure (razionali o meno). Se chiudo la mia auto e non presto attenzione al fatto che sto chiudendo la mia auto, più tardi mi chiederò se ho chiuso la mia auto. Dubiterò di me stesso. Dirò “Scusami” e ti lascerò seduto da solo al ristorante mentre vado al parcheggio per assicurarmi che la mia auto sia chiusa.

 

Premere il tasto “blocca” sul mio portachiavi, ripetutamente, focalizzandomi sul suono Whoop-Boops, mi rimette a fuoco. Mi invita al Qui e Ora.

 

Potrei aver bisogno di essere invitato più di una volta.

 

Quel suono che stai sentendo? Si. Quello. WhoopBoop. Quello è il suono degli sportelli della tua auto che si bloccano. Sono bloccati adesso. Gli sportelli? Sono bloccati. Puoi occuparti delle tue cose ora. Nellevento (improbabile che qualcuno irrompa nella tua auto, tu ti ricorderai che si, avevi bloccato gli sportelli. Saprai che hai fatto tutto il possibile. Okay?

 

Whoop-Boop.

Okay.

 

Attraverso la strada, avanzo sul prato di qualcuno, con mucchi di oggetti indesiderati disposti a casaccio. Un uomo (il venditore) si avvicina dicendo: “Stai cercando qualcosa in particolare? O stai solo facendo rumore?”. Lancia un’ occhiata verso la mia macchina. Anche io guardo. Eccola. La mia macchina. Bloccata. L’uomo ed io ci voltiamo l’uno verso l’altro. E ci guardiamo.

 

L’uomo aspetta. Sta aspettando che io reagisca. Non lo faccio. Sto attento a mantenere la mia faccia neutrale. Per mantenere il mio stupore e (eccola che arriva) la mia irritazione ben nascosti ben sotto la superficie.

 

Un Mississippi. Due Mississippi.

 

L’uomo sorride. Ride. Per dimostrare che stava scherzando. Naturalmente. Lui è il Tipo Scherzoso.

 

Capisco che dovrei sorridere anche io. Ridere. Sulla battuta, la sua (su di me).

 

Non sto facendo niente di tutto questo.

 

La risata si spegne. I suoi occhi si restringono. Io non sto Facendo il suo Gioco. Sto per vedere qualcosa che non voglio vedere. Prima che si diffonda per tutto il suo viso, rispondo “Entrambe le cose” e mi allontano velocemente, desideroso di interrompere la nostra interazione. E di dargli un po’ di privacy. Un momento per riprendersi.

 

Quando qualcuno mette uno dei suoi dischi preferiti, e ti chiede di ballare, e tu rifiuti, nel piccolo spazio che segue, se scegli di osservare da vicino (e può darsi che tu non lo faccia), ti mostrerà (uno dei) suoi sé più veri.

 

Può essere un’esperienza spiacevole. Per entrambi.

 

Alla vendita successiva compro un lampadario/plafoniera da una donna anziana e sua figlia per un dollaro. Sono deliziose. Di buon’umore. Si godono la giornata e la vendita occasionale. Mentre mi congedo mi chiamano dalle loro sedie, abbinate, da giardino, per ricordarmi che ho lasciato il mio contenitore di caffè da asporto sul tetto della mia auto, per non andarmene senza di esso. Ridiamo e me ne vado (col mio caffè) pensando “La gente sa essere adorabile. La gente sa essere premurosa”.

 

Anche l’uomo alla vendita precedente, penso, sappia essere adorabile. Premuroso. Ne sono sicuro. Nemmeno lo conosco. Non ho idea di che tipo di giornata stesse avendo. Non so perché abbia detto quello che ha detto o abbia detto quello che intendeva dire quando lo ha detto. Non so perché il suo prato fosse pieno di oggetti non voluti. È possibile che quegli oggetti fossero voluti invece, molto. Ma lui li stava vendendo comunque.

 

La gente organizza vendite di garage per ogni tipo di ragione. Molte delle quali infelici. Un divorzio. La perdita del lavoro. Figli cresciuti e fuori casa. A volte sono pubblicizzate come “vendite per trasloco” e la ragione del trasloco può variare (ovviamente). Sono stato a delle vendite che trasudavano un senso di tristezza. Di amarezza. Di imbarazzo che si sia Arrivati A Tanto. Gingilli, oggetti da collezione, e DVD…  Il baule del corredo della bis-bisnonna trasportato dalla Madrepatria…Tutto rovesciato sul prato umido/sull’asfalto cocente per mostrarlo al mondo e ai vicini.

 

Ogni tanto accosto a una vendita e intuisco, senza scendere dalla macchina, che non c’è niente per me. La tentazione è di passare oltre, di continuare a guidare. Ma il venditore potrebbe stare a guardare, la bocca impostata a una linea che vorrebbe far passare per un sorriso. Non scendere sembra da maleducati. E un po’… Non so…Da adescatore? “Hey, signore – sta cercando un passatempo/un tostapane/un forno?” “Sei un poliziotto?”. Allora scendo. Mi guardo intorno. Simulo gesti, fingendo interesse. Ma non sempre. A volte non scendo. A volte continuo a guidare. (Mi dispiace).

 

Suona personale perchè viene percepito personale. Viene percepito personale perchè è personale. Non si tratta solo di cose di qualcuno disposti su un prato/sull’asfalto. Si tratta di loro. Dei loro gusti e feticci. Dei loro Punti Di Vista. Dei loro acquisti impulsivi e del loro passato. Del loro DNA (letteralmente). Un certo grado di diffidenza bisogna aspettarselo.

 

Alcuni venditori ronzano, supervisionando alle tue spalle mentre tu supervisioni le loro cose sparse su coperte nodose, aspettando che tu prenda qualcosa. “Famme mostrarte come se apre. È difficile”. “È Tupperware”.

 

Altri vanno all’offensiva. “Scommetto che non sai cos’è!”. Ti volti, li trovi che ammiccano indicando qualche sudicio pezzo di legno dal quale il tuo sguardo si era appena allontanato. Ti stanno invitando a giocare un gioco. Il gioco si chiama “Sbagliato!” e richiede che tu a) ammetti di essere ignorante cosicchè b) il venditore possa istruirti, a lungo, su qualunque cosa egli ti stia indicando. (Non sei il primo con cui gioca a questo gioco. Il venditore ci sta giocando da tutta la mattina). “Non saprei…Una specie di arte popolare?” “Sbagliato! Serve a setacciare i mirtilli dalla palude!” (Sono un ragazzo di Brooklyn. Non ne so di paludi).

 

Odio criticare il mio genere/sesso, ma non sono le donne che mi invitano a giocare a questo gioco. È un tipo di uomo che, non abituato a comunicare in altro modo (perché non gli è stato mai insegnato), incapace di chiedere ciò che vuole (connessione), si accontenta di seppellire le sue vittime in una valanga di dati/curiosità/statistiche. Alcuni dei quali vale la pena di ascoltare. Nei giorni più compassionevoli, riconosco che dietro questo vomitare informazioni c’è un grido accorato: “Conoscimi. Amami. Ascoltami/guariscimi. Ti prego”. E mi addoloro per loro. Nei giorni meno compassionevoli, questi uomini mi scocciano.

 

Alcune vendite di garage hanno bambini presenti. Anche loro, spesso vendono qualcosa. Di Sabato mattina, al’apice dell’ estate, potrei facilmente ritrovarmi a comprare diversi bicchieri di acqua zuccherata, diversi sacchetti Ziploc per sandwich pieni di umidi e irriconoscibili prodotti da forno. (Se questi alla fine verranno consumati è una questione che lascierò senza risposta). Questa, secondo me, è una specie di prova del nove: Se riesco a passare oltre a una bancarella di limonate senza comprare qualcosa da un piccolo umano per un quarto di dollaro, devo considerare l’ eventualità di essere un cretino. (Vale la pena prenderla in considerazione. E di rifarlo). Se un bambino non ha già un barattolo per le mance sul posto, gli suggerisco cortesemente di procurarsene uno. Dovresti vederli come corrono verso la Madre, gli occhi spalancati e avidi, urlando per procurarsi un barattolo.

 

Non trovi bambini, o dolcetti, solitamente a una vendita di liquidazione. Queste sono interamente tutta un’ altra storia.

 

La prima differenza è che non sei più fuori ma dentro. Nella casa. Ti sposti di stanza in stanza, apri sportelli della cucina, ficchi il naso nell’ armadio delle scope. Le persone che gestiscono la vendita saranno impegnate a contrattare e ad occuparsi della cassa, quindi è probabile che sarai lasciato da solo, completamente, a vagare non sorvegliato tra stanze che ti sono estranee, a caccia di tesori. (Immagino che un furto con scasso sia simile. Vetro rotto e orecchie puntate verso le sirene, a parte).

 

La seconda differenza è la palpabile sensazione che stai percependo. È, di solito, morte. (Anche far soldi). È probabile che I venditori siano deceduti. Di recente. Guarda – ecco le loro cose. Disposte su tavoli pieghevoli. Oppure, quando gli eredi/esecutori non vogliono fastidi e/o il servizio di vendita immobiliare è economico, restano dove si trovavano dall’ ultima volta in cui sono stati usati. La tazza di caffè preferita da lui. La bottiglia di profumo (mezzo pieno) preferito da lei. Pile dei loro asciugamani sbiaditi. Tuoi, se vuoi.

 

Ho amici che insistono nel comprare solo il nuovo, che evitano di andare alle liquidazioni immobiliari proprio per questo motivo. Esaminare – e acquistare – i beni personali di un altro essere umano può essere un’esperienza incredibilmente e atrocemente intima.

Accade che mi piace. Molto.

Ho acquisito una tonnellata di beni usati negli anni. Ho un profondo apprezzamento per gli oggetti con la storia (di qualcun altro). Nella mia famiglia, i cimeli scarseggiano, e sono perlopiù del genere emotivo/intellettuale. Mi piace immaginare (erroneamente, probabilmente) che comprando qualcosa che il prossimo ha rifiutato la sto “salvando”. Dall’essere gettata via o fusa. Non rispettata e perduta per sempre.

Ci sono limiti.

Nella stanza da letto di un estraneo recentemente, frugando nella sua cassettiera, ho trovato una di quelle catenine che si agganciano all’estremità degli occhiali da sole cosicché li puoi mettere o togliere senza che gli occhiali si perdano. Di pelle intrecciata. Vintage. Bella. Ho sempre appeso i miei occhiali da sole al colletto della mia camicia e sono sempre caduti, quindi ero tentato. Ma mi è venuto in mente che il sudore del mio collo si sarebbe mescolato inevitabilmente al sudore del defunto, pre-impregnato nella catena. L’ho rimesso nel cassetto. Ma non me ne sono andato a mani vuote.

 

Ho visto per la prima volta l’oggetto online su immagini che ne pubblicizzavano la vendita. E ne rimasi incuriosito. Ma ho pensato di non avere chance. Le liquidazioni immobiliari spesso durano da 1 a 3 giorni, di solito da Venerdì a Domenica. Venerdì mattina puoi aspettarti di pagare il prezzo pieno. Domenica pomeriggio acquisti gli oggetti in blocco perché i signori incaricati vogliono ormai le Cag-te Fuori Da Qui. I rivenditori si presentano presto il primo giorno, strattonandosi l’un l’altro e dietro pagamento “chiedono” (o qualcosa del genere) degli Articoli Migliori. Li evito come la peste. (Le loro energie predatorie, acquisitive mi ricordano troppo le mie.) Preferisco andare il Venerdì pomeriggio, o il Sabato, dopo il trambusto. Così posso girovagare in pace.

 

Avevo dato per scontato che l’oggetto che aveva attirato la mia attenzione sarebbe stato preso da un bel pezzo nel momento in cui avrei raggiunto, guidando, la bassa abitazione immersa nei boschi, ricoperta di rampicanti, un giardino segreto ad ogni angolo. All’interno, le stanze dipinte di bianco con pavimenti a larghe assi e soffitti inclinati erano inondate di luce, e, anche dopo il trambusto, erano stracolme di arte/mobili/soprammobili, librerie e tavolini quasi piegati sotto al peso dei souvenir di viaggi all’estero. Chiunque abbia vissuto qui deve aver viaggiato in lungo e in largo e spesso, trascinandosi dietro valigie piene di cose intriganti e gradevoli da tutto il mondo. Avevano chiaramente un occhio audace e buon gusto.

 

Ora non c’erano più.

Lui stesso era un artista”, qualcuno disse, sull’uomo di cui stavamo passando in rassegna gli oggetti. Poi, con un tono più basso, con riservatezza, “Viveva qui col suo amico”. Tutti nella stanza (me incluso) capimmo che questo doveva essere un codice. Ancora in uso, purtroppo, in questo angolo di mondo. Mi chiesi dove fosse finito il suo “amico”. Se in qualunque posto fosse ci sia andato di sua volontà.

 

Su un davanzale della cucina, trovai quello per cui ero venuto. Impolverato ma invenduto. Sorprendentemente. Un piccolo busto. Di un ragazzo. Un ragazzo nero. Era questa la ragione per cui non era stato (ancora) venduto? In questo angolo di mondo? Non saprei dirlo. Non mi importava. L’ho portato a casa con me.

 

Online sembrava di bronzo ma era di gesso. E firmato. “X “. X (ho appreso in seguito) era un importante scultore Americano del 20 ° secolo. Nero. E gay. Forse lui e gli uomini che vivevano qui si conoscevano. Saranno stati colleghi o persino amici. O qualcosa in più. Forse X ha dato il busto al venditore in persona. Come regalo di Compleanno o di Natale. Come pegno di pace o regalo di addio. O per sfidarlo. Il venditore (un artista lui stesso) aveva osservato il busto e si era sentito…come? Ammirato verso quell’opera? Amato? Indifferente? Geloso del talento di X? Sul punto di piangere? Sul punto di lanciarla contro il muro? Implorando il perdono di Dio? Forse l’ha comprata su Ebay. Non lo saprò mai.

 

Questi uomini e l(e) loro potenzial(i) relazion(i), l’uno con l’ altro e con il busto stesso… tutto questo era finito ormai. Smantellato, inventariato, etichettato. Venduto pezzo per pezzo.

 

Mi diressi verso il cassiere vicino alla porta e comprai il busto per non molto, consapevole che non era – che non potrebbe mai essere davvero – “mio”. Non completamente. Sarei soltanto il suo attendente. Che lo trasporta da un posto all’ altro. Che garantisce la sua sopravvivenza per un decennio o tre. Questo è tutto ciò che posso sperare. Che tutti noi possiamo sperare.

 

Niente – nè oggetti, nè case, nè i figli (specialmente i figli), nemmeno i nostri stessi corpi (invecchiando, continuo a rendermene conto) – può mai essere veramente nostro. È impossibile “possedere” qualcosa. La prendiamo soltanto in prestito per un pò di tempo. Alla fine, credo, tutto deve (andarsene!) essere ceduto. Nel momento in cui il busto era diventato di proprietà del venditore, nel momento in cui è stato accolto dalle sue mani, è iniziato il conto alla rovescia. Numero X di anni/di settimane /di secondi rimasti finché non era più suo. Tuo Per Un Limitato Periodo Di Tempo Soltanto.

 

Uscendo da quella casa, mettendo piede sul prato, il busto infilato con attenzione sotto al mio braccio, non era difficile immaginarlo infilato sotto il braccio di qualcun altro, mentre lasciava la mia casa. Non oggi forse. Non domani (non credo). Ma un giorno. Sì. Certamente. Inevitabilmente. Anni? Sì. Anni a partire da adesso (incrociamo le dita).

 

Chiunque tu sia, spero che sarai contento di avere in tuo (temporaneo) possesso un grazioso piccolo busto opera di un tal dei tali, posseduto da un tal dei tali, che ha fatto parte di uno show televisivo. O qualcosa del genere.

 

Spero che gli tieni la polvere lontana.

*****

P.S. Tutto ciò di cui sopra è filtrati attraverso la lurida lente del privilegio. Non compro Tupperware per 50 centesimi perchè devo. Lo compro perchè voglio. Il vassoio 1665-2 (color mandorla) è un ottimo contenitore per graffette, puntine da disegno e vari administralia.

 

P.P.S. “Administralia” potrebbe non essere una parola. O se è una parola, potrebbe non significare ciò che vorrei che significasse. Non mi interessa.

 

P.P.P.S. Archivia la seconda metà (anche la prima) di quanto sopra, sotto “Proiezione (Pura)”. Diverse settimane dopo la vendita, ho scoperto che il venditore non era affatto morto. A quanto pare lui e il suo amico sono vivi e vegeti e vivono in una graziosa comunità vicino al mare. Mazel!


n.d.a – Mazel: “Buona fortuna” in ebraico.

*****

Fonte: Wentworth Miller on FB

L’ immagine in questo articolo ha solo uno scopo rappresentativo. E’ stata utilizzata solo per arricchire la nota tradotta. Non si tratta del busto di cui parla Went.

ps:Went? Non scordare il caffè sul tettuccio della tua auto. ♥

Photo Just Jared 2009

 

 

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