Wentworth Miller: intervista su The Loft (Out Magazine)

wentworth-miller-covers-out-100-issue-for-2013Domanda: Quello che ci ha attratto, innanzitutto, di questo film (The Loft) è il fantastico e diverso quintetto di uomini, che sono i protagonisti: tu, la star danese Matthias Schoenaerts, lo sciupafemmine James Marsden, la stella della fantascienza Karl Urban ed Eric Stonestreet, che naturalmente ha dimostrato la sua diversità interpretando un padre gay in Modern Family. Puoi dirci come si è svolta la scelta del cast? La sua diversità è, almeno in parte, ciò che ti ha entusiasmato di questo progetto?

Wentworth: Credo che abbiano messo insieme un cast convincente, ma la ragione per cui ho detto di sì è dipesa dal ruolo che mi era stato dato. Diverso da quelli interpretati in passato. Mentre in ‘Prison Break’ ero “l’uomo con un piano”, adesso sono il ragazzo che è già abbastanza fortunato di essere stato invitato ad una festa. E poi si è pentito di esserci andato.

Domanda: A dir la verità, ci sono poche informazioni sul film — ha una trama sinistra! Ma una fonte mi ha detto che tu hai scritto la sceneggiatura, altri parlano invece di altri autori. Ne sei, dunque, l’autore? Hai usato uno pseudonimo come hai fatto per ‘Stoker’?

Wentworth: Non ho idea da dove sia nato quel pettegolezzo. Non ho nulla a che vedere con la sceneggiatura.

Domanda: Il film è un remake di un film danese, in cui anche Matthias aveva avuto un ruolo. Quale diresti sia la più grande differenza tra l’originale e la versione americana? C’è stato un significativo cambio culturale che ha cambiato il tono della trama?

Wentworth: Per quel che mi riguarda, in merito all’essere certo di far sembrare questi personaggi dei veri uomini americani, di far sembrare che la storia si sia svolta davvero in questo Paese, ho cercato di essere consapevole delle piccole cosse — i nickname, lo scambio di battute, il linguaggio del corpo quando i ragazzi si ritrovano insieme, come e quando si abbracciano o non si abbracciano. I piccoli dettagli. Tutto questo contribuisce a creare un’energia ed una vibrazione che sembra culturalmente specifica e vera.

Domanda: Da quello che si può capire dalla sinossi — il film racconta di un gruppo di uomini che incontrano le loro amanti in un posto segreto, poi si ritrovano coinvolti in un omicidio — esplorano il giusto castigo inflitto loro dalle mogli. Come hai affrontato il conflitto morale che deriva da questo? Cosa ne pensi al riguardo?

Wentworth: Non ho mai considerato l’aspetto morale perché mi è stato insegnato che per un attore è un errore giudicare il personaggio. Se giudichi il personaggio che interpreti, allora non è tuo. E tu vorresti sentirlo tuo. Interpreto la trama come una storia sulla difficoltà che si ha nel conoscere bene chi ti sta intorno. Trascorri anni con qualcuno, credi di conoscerlo come il palmo della tua mano e poi, all’improvviso, ti ritrovi in una situazione in cui l’altro si comporta come non ti saresti mai aspettato. E tu pensi a cose del tipo: “In questo momento, non ti riconosco più”. Ti senti disorientato. E poi, naturalmente, la prossima domanda che ti poni è: “Di cosa sono capace io, quando bisogna fare ciò che va fatto?” Probabilmente, molto più di quanto vorresti ammettere.

Domanda: Qual è stata la parte più piacevole dell’essere coinvolto in questa produzione? Puoi raccontarci degli aneddoti insoliti, divertenti o unici, che sono successi durante le riprese?

Wentworth: Abbiamo cantato molto tra un ciak e l’altro. James ha una voce davvero bella.

Domanda: La gente discute costantemente della scarsità di ruoli disponibili per gli attori gay, ma finora, tu, come Neil Patrick Harris, che siete apertamente gay, interpretate degli uomini etero — nello specifico, uomini etero sessualmente attivi (verosimilmente, nel caso di The Loft). Qual è la tua opinione generale al riguardo? Descrivi i ruoli in cui sei maggiormente interessato nella tua carriera.

Wentworth: Giusto per chiarirlo, non avevo ancora fatto coming out durante le riprese di questo film. Non professionalmente, perlomeno. Quindi, non posso sapere cosa le persone che mi hanno ingaggiato potessero sapere o non sapere sulla mia sessualità o se la cosa abbia giocato un ruolo nello scegliermi come membro del cast. Mi piacerebbe pensare che la cosa non abbia nulla a che vedere con la decisione di ingaggiarmi nel film. Se mi stai domandando perché non ci sono più attori, apertamente gay, che interpretano uomini etero — nei film, più che altro, perché la televisione credo che sia diversa — allora, non saprei. Sono sicuro che ci siano in gioco vari fattori. Spero che non si tratti di Hollywood che si domanda ancora se gli attori gay possono interpretare ruoli da etero o se nelle audizioni verranno accettati attori gay che si propongono per interpretare personaggi etero. Perché la risposta ad entrambi i quesiti è “sì”. Secondo me.

Domanda: L’uscita di ‘Stoker’ e il tuo coming out si sono susseguiti quasi in contemporanea e mi è sembrato che il tuo coming out e il tuo ruolo di sceneggiatore abbiano corso su vie parallele. Inizialmente, eri molto riservato su entrambe le cose e piuttosto modesto sul progetto di ‘Stoker’. Com’è stato far coincidere due rivelazioni personali e professionali?

Wentworth: E’ un’idea interessante, ma non collegherei il tempismo delle due cose. Ho scritto ‘Stoker’ nel 2010, il film è uscito nel Marzo del 2013 ed ho postato la risposta all’invito al Russian Film Festival — che considero il mio coming out ufficiale — nell’Agosto dello stesso anno. Semmai dovesse esserci un legame tra il mio coming out come gay e il mio coming out come sceneggiatore, probabilmente, esso ha a che fare con l’essermi spinto oltre ai miei limiti. Il mio senso di ciò che era possibile. Non mi consideravo un autore, quindi, non avevo mai scritto. Non mi credevo capace di fare coming out, quindi, non l’ho mai fatto. Poi però mi sono reso conto che questi erano dei limiti che io mi ero auto-imposto. Credo che, a volte, sia necessario diventare attivisti nella propria vita e combattere contro la situazione attuale. Contro ciò che noi crediamo di essere e di quello che siamo in grado di fare.

Domanda: Quanto sono cambiate le tue ambizioni dal momento che hai concentrato l’attenzione anche sulla scrittura e come prevedi di realizzare quell’equilibrio ancora in corso?

Wentworth: “Equilibrio” è la parola chiave. Sicuramente. Negli ultimi due anni tutto è ruotato sulla scrittura. Il che è stato fantastico. Ma non voglio solo raccontare delle storie, sedendomi alla mia scrivania e fissando il laptop. Voglio usare il mio corpo. La mia voce. Dare vita alle parole di qualcun altro. Quindi, spero di poter fare entrambe le cose. Recitare e scrivere. Se riesco a gestirle entrambe.

Domanda: Dal coming out, sei stato molto esplicito, non solo per quanto riguarda le tue credenze, ma anche sul tuo passato, dicendo con chiarezza cose come questa: “Quelle che consideri delle cicatrici sono in realtà delle medaglie”. Come si lega il tuo lavoro all’elaborazione del tuo passato e quali sono i progetti che credi potrebbero aiutarti a continuare ad esprimere i tuoi ideali e le tue esperienze?

Wentworth: Ho scoperto che mettere le cose per iscritto mi aiuta ad elaborarle. Probabilmente, è per questo che molte persone scrivono un diario. E ci sono delle volte in cui ho inserito qualcosa di personale in un progetto su cui lavoravo. Giusto un dettaglio o due. E questo è sempre un po’ rischioso. Ma nove volte su dieci, quando qualcuno legge quello che ho scritto ed ottengo un responso, allora è su quello che la gente si concentrerà. E poi, mi diranno: “Quella è la parte che mi ha fatto ridere”, o piangere, e cose così. Se completo un copione e non rivelo in quel copione qualcosa di me, qualcosa che ho esitato a dire a qualcuno, in maniera chiara, probabilmente, allora so che con il copione non sono andato oltre.

Domanda: Infine, qual è il tuo film giallo preferito e perché?

Wentworth: Ho appena visto ‘Clue’, con Tim Curry, per la prima volta. E’ un film bellissimo. Non so come abbia potuto perdermelo.



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