Mailbag 6.2

Traduzione a cura di Heather Purple

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D: Come va ultimamente, e non intendo dove sei stato o cose così… ma come stai davvero?

R: Sto bene. Non esattamente “a mio agio” ma bene. In un periodo di cambiamento per molti aspetti. Un po’ come è successo un anno fa. È una buona cosa. E, allo stesso tempo, mi mette in difficoltà, richiede cambiamento, mutamento, rischio, incertezza… tutte cose che istintivamente cerco di evitare. Continuo a scoprire che prima di muovermi verso ciò che è nuovo, prima di entrare in spazi in cui niente è familiare e la sfida è certa, è bene stabilire i propri intenti. Altrimenti, è probabile che reagirò in maniera impulsiva ed emotiva, facendo scelte non in linea con il tipo di persona che mi sto impegnando ad essere.

Ad esempio. Di recente sono stato molto in viaggio attraverso il paese e, come potrà dirti chiunque, mangiare sano mentre sei in viaggio non è facile. Specialmente se, come me, ti piace andare in cerca dell’atmosfera familiare, dei tipici posticini del “colore locale”. Mangiare in un greasy spoon (piccolo ristorante economico tipicamente specializzato in cibi fritti, N.d.T.) significa mangiare cibi grassi. Cosa che sono felice di fare. Con lo sciroppo. Ma in viaggio – come nella vita – la chiave sta nel riempire il serbatoio con il carburante giusto.

Dicono che non sia insolito per le persone provare una sorta di piccolo attacco di panico al supermarket… Sopraffatti da tutta quella varietà, da tutti quei colori, da tutte quelle etichette (ognuna con un milione di ingredienti), cominciano a prendere cose a caso e alla fine se ne vanno senza quello per cui erano arrivati, ma con un carrello pieno di robaccia.

Ecco come mi sento nei greasy spoons. Sono affollati e rumorosi, le cameriere sono affrettate e frettolose e ti si rivolgono incalzanti. Così, mi estraneo e ordino la prima cosa che vedo sul menù, scegliendo automaticamente la cosa più tipica e (presumibilmente) più buona. Dieci minuti più tardi qualcuno mi fa scivolare davanti qualcosa che non dovrei mangiare ma che mangerò comunque.

Perciò ho cambiato il mio approccio. Guidando per andare a fare colazione mi sono detto a voce alta “Questa mattina, ordinerò della zuppa d’avena con frutta fresca, zucchero di canna a parte, e due uova sode”. Ed è ciò che ho ottenuto. Quello, e un’alzata di sopracciglia da parte delle cameriere. (Immagino che il porridge – non sia popolare nei greasy spoons). Ma mi sono sentito meglio riguardo alle mie scelte, meglio quando sono uscito e ripreso la mia strada. È una piccola cosa ma importante. E ha fatto la differenza. Avere un piano. Prendere una decisione in linea con ciò che voglio di più e di cui ho più bisogno prima di affrontare il nuovo e lo sconosciuto.

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D: Credi che una persona omosessuale possa innamorarsi di una persona del sesso opposto?

R: Credo sia possibile. Credo che molte cose siano possibili quando si tratta dell’amore, credo che la maggior parte delle persone stiano su una scala di grigi, da qualche parte sullo spettro tra “gay” e “etero”. (Credo anche che “gay” e “etero” non dovrebbero essere pensati come le due estremità dello spettro, ma questo è un altro discorso). Poi la vita – e con questo intendo la famiglia, la cultura, la religione, l’educazione, Hollywood – ci spinge a rifiutarla, ad abbandonare la scala di grigi e ci forza a guardare all’amore, all’attrazione, alla sessualità, al gender, attraverso delle lenti in bianco e nero.

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D: Sono stupita delle migliaia di commenti e di “mi piace” che ricevi e, soprattutto, del fatto che tu dedichi tempo e pazienza nel rispondere. E ho notato che la maggior parte delle domande sono da parte di donne. Siamo più propense a parlare di argomenti delicati o siamo più curiose? O entrambe?

R: Ritengo gli uomini curiosi. Ritengo che gli uomini siano molto curiosi. Ritengo che la propensione degli uomini a parlare di argomenti delicati, in un forum pubblico come questo, sia qualcosa su cui si sta lavorando.

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D: Il giorno in cui lasceremo questo mondo vivremo la vita vera, la vita eterna? Cosa ne pensi?

R: Non ho idea di cosa accadrà “il giorno in cui lasceremo questo mondo”. Ma mentre sono qui, a vivere questa vita non-eterna, ho intenzione di esprimere me stesso, amare le persone che ho la fortuna di conoscere e fermarmi a sentire il profumo di tante tante rose. #sassy #shameless #overthetop

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D: Mi sono sempre chiesta se tu (o qualsiasi altro attore) riesci a goderti un film o una serie tv come fa il resto di noi che non è nell’industria televisiva e cinematografica, anche se sai bene cosa accade dietro le quinte. Riesci a rilassarti e a goderti la storia o ti ritrovi ad analizzarla, per esempio, chiedendoti quante riprese ci sono volute per una certa scena, facendo il paragone tra te e gli altri attori, facendo delle critiche sull’altro attore e così via? In pratica, i film e le serie tv perdono la loro magia e il loro appeal quando sai tutto quello che ci vuole per farli?

R: Hai visto “30 Giorni di Buio”? Ricordo che, guardandolo, ho pensato “Cavolo, devono essere state delle riprese estenuanti. Mesi avanti e indietro tra la neve… al freddo… di notte. No grazie.” Mi è dispiaciuto per quegli attori. E, allo stesso tempo, mi sono davvero divertito a guardare il film. Perciò la risposta alla tua domanda è entrambe le cose. Riesco ad abbandonarmi al film, a godermi la storia come spettatore, e sono comunque consapevole del meccanismo che c’è dietro, del ronzio della macchina da presa. (Più brutta è la storia, più si sente il ronzio). È una doppia consapevolezza, non dissimile dal girare una scena. “Vivo il momento”, cercando una qualche “verità”, entrando in contatto con il mio partner di scena, e al tempo stesso sono consapevole di dove si trova la macchina da presa, se sono nella posizione giusta, se impallo la luce al collega, ecc. È reale ed è finto, è arte ed è scienza, è vero ed è costruito. Tutto insieme.

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D: Ok, una domanda, non so se è stata già fatta prima: hai una lista dei desideri? Se sì, qual è la cosa al primo posto che vorresti assolutamente fare nella vita?

R: Non mi ritrovo con l’idea di “lista dei desideri”. Per me, per come sono fatto, c’è il pericolo che si trasformi nella lista “delle cose da fare”. Poi nella lista “delle cose da fare assolutamente”. E se non spunto tutte le caselle, non ho vissuto “davvero” oppure ho vissuto una vita “sbagliata” o quello che è. (Vedi alla voce: Ca–ate).

Fin da piccolo, sono stato portato a credere che “la mia vita non sarà completa senza [riempi lo spazio vuoto]”. Questo modo di pensare è autolesionista. Una trappola per andare incontro alla delusione. Perché la vita non ti garantisce un cavolo (ovviamente). Il matrimonio, i figli, un lavoro gratificante che ti permette anche di pagare le bollette, una mente e un corpo “normali”, ecc. Non tutti riescono ad ottenere queste cose. Non tutti vogliono queste cose.

Mi rifiuto di accettare che in questo ci sia qualcosa che non vada.

Certo. Bisogna avere degli obiettivi. Fare dei progetti. Sognare in grande. Ma sto attento (o almeno ci provo) a non abbandonarmi al desiderio che le cose siano diverse. O io stesso sia diverso. Io voglio apprezzare, valorizzare quello che ho mentre ce l’ho. Voglio pensare alla vita che ho oggi – non domani – come completa, appagante, meritevole di essere vissuta. E se lungo la strada sono così fortunato da trovarmi all’ombra di un Moai o partecipare a Project Runway, grande. Altrimenti, va bene lo stesso.

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D: Vorrei chiederti riguardo all’incomprensione di famiglia e amici nei confronti di una persona con depressione. Ho notato che le persone non comprendono la depressione e, in generale, la giudicano senza saperne nulla. Secondo te, cosa può fare una persona con depressione in questa situazione?

R: Quando feci il mio intervento a Oxford, mi fu chiesto come fare a parlare di salute mentale in famiglia se si proviene da un background in cui non solo è tabù chiedere aiuto, ma il concetto stesso di salute mentale non viene affrontato o preso seriamente. È stato allora che mi è venuta in mente questa cosa: non sempre ascoltiamo o riusciamo ad ascoltare le persone che ci sono più vicine. Tua madre può dirti una cosa 1000 volte e la tua reazione è “Mm-hm”. Poi la senti una volta sola da un estraneo e tu “Ommioddio! Geniale!” (E qui si vede tua madre alzare gli occhi al cielo).

Se hai difficoltà a comunicare con un amico o un familiare, devi cercare di capire che potrebbero non essere in grado di ascoltarti perché ti vogliono bene, o sono preoccupati per te, o lottano contro la stessa cosa, ecc. Prova a fargli ascoltare una voce diversa. Magari presenta loro un esperto, un terapista o un consulente psicologico…Portali agli incontri dei gruppi di supporto dove possono ascoltare altre persone discutere apertamente dell’argomento… Condividi con loro dei video su Youtube a riguardo…Mettili in contatto con qualcuno della stessa razza o ambiente culturale o professione che sta lottando contro la malattia mentale e può usare un linguaggio o dei riferimenti a loro comprensibili. Continua ad aumentare le voci e ad alzare il volume finché quel tuo amico o familiare non ti “sente”.

Anche allora potrebbero non farlo. Ma saprai che hai fatto tutto quello che potevi. E potrebbe essere il momento per un discorso più difficile. Per quanto mi riguarda, voglio che le persone accanto a me “capiscano” (o almeno mi sostengano), che mi facciano da copilota e mi aiutino ad orientarmi lungo l’autostrada della mia vita. Non delle lattine vuote attaccate al mio paraurti, rumorosamente e inutilmente sferraglianti dietro di me.

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D: Un consiglio per una bambina di 10 anni (e la sua mamma) la cui natura ansiosa e fortemente empatica combinata al disequilibrio tra intelligenza e maturità sociale le sta causando problemi di socializzazione tali da essere terrorizzata all’idea di andare a scuola, nonostante il suo amore per lo studio, e che la fanno piangere e chiedersi “perché non posso solo essere come gli altri bambini?”. Va già da un terapista, gli insegnanti fanno del loro meglio per aiutarla, e lei si impegna molto nel teatro per ragazzi dove ha meno difficoltà a socializzare, ma il mio cuore di mamma soffre terribilmente nel vedere il suo spirito meraviglioso (la sua meravigliosa vivacità) venire schiacciato un po’ giorno dopo giorno.

R: Non posso comprendere completamente la vostra situazione ma il mio affetto va a te e alla tua bambina.

Questo si ricollega alla mia precedente risposta: cosa riusciamo/non riusciamo a sentire da quelli che amiamo. Ho l’impressione che un genitore possa sostenere suo figlio, dire tutte le cose giuste al momento giusto, e non essere comunque abbastanza. Hanno bisogno di sentirlo da qualcun altro.

Ad un certo punto, da ragazzo, i compagni hanno contato più dei genitori. Quello che gli altri ragazzi pensavano era molto più importante. Era così e basta. Puoi già contare sul terapista e sugli insegnanti che fanno la loro parte. Ti suggerirei di continuare ad aggiungere altre “esterni” che incoraggino tua figlia, che la facciano sentire bene con se stessa. Ragazzi/e attentamente selezionati, magari un po’ più grandi di lei, che condividono la sua sensibilità, che possono trascorrere del tempo con lei, farle da mentore o da modello, rassicurandola con le parole e gli esempi che “Altri ci sono già passati e l’hanno superata. Quello che oggi pensi essere una maledizione, domani ti renderai conto essere un dono”. Magari, vicino a voi, c’è un’organizzazione come Big Brothers Big Sisters of America (una delle più grandi organizzazioni non-profit di tutoraggio per ragazzi negli USA, N.d.T.), per esempio.

Inoltre – quando avrà l’età adatta e sotto la tua guida – potreste provare con le comunità online che offrono supporto a ragazzi che non lo trovano a scuola.

Come ultima idea, che probabilmente hai già messo in pratica: aumenta il tempo che tua figlia spende nelle cose che ama e in cui riesce a sentirsi realizzata (come il teatro per ragazzi).

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D: Sono preoccupata per mio figlio di 17 anni. Mi chiedo se sia gay. A volte vorrei chiederglielo direttamente. Ma non voglio rovinare il nostro rapporto. Gli voglio così bene. Puoi darmi qualche consiglio?

R: Non so la cosa principale del rapporto con tuo figlio, se vi relazionate o meno, se tra voi c’è o non c’è una buona intesa affettiva. Ma – al posto tuo – eviterei domande dirette. Tuo figlio potrebbe non essere gay. O potrebbe non sapere ancora cos’è e delle domande dirette potrebbero costringerlo a confidare qualcosa per cui non è ancora pronto, o a dire delle bugie, o ad interrompere il suo processo di auto-scoperta.*

Piuttosto, cercherei di creare quel tipo di ambiente in cui un teenager gay** possa sentirsi a suo agio. Cercherei dei modi per esprimergli il mio amore incondizionato. (Solo tu puoi sapere come fare. Solo tu puoi sapere cosa risulterebbe affettuoso e aperto, tollerante e cosa, invece, maldestro, goffo o traumatizzante).

Darei un’occhiata ad organizzazioni come PFLAG National (la più grande organizzazione americana per genitori, familiari e amici di persone LGBTQ, N.d.T.). Mi informerei su come gli altri genitori hanno gestito questa cosa. Introdurrei nei discorsi argomenti/notizie riguardo all’omosessualità** e spierei la sua reazione, invitandolo (gentilmente) a condividere le sue opinioni (e rimanendo calmo se affermasse di non averne). Aggiungerei alla nostra lista Netflix dei film o delle serie su temi LGBTQ, inviterei amici gay** a cena, etc. Riempirei il nido d’amore e motivazione, così che i miei figli (se fossero gay**) si sentirebbero al sicuro. Rassicurati dal fatto che, se e quando facessero coming out, la cosa più grave a cui andrebbero incontro sarebbe un abbraccio.

Detto questo, molti adolescenti hanno un rapporto conflittuale con la propria sessualità. Se ti sembra che tuo figlio si trovi o stia per affrontare una crisi, un approccio diretto potrebbe essere fondamentale. Ripeto, non deve sembrare un interrogatorio del tipo “Sei gay!?!”. Puoi cominciare con l’affermare ciò che è vero per te, in modo che lui sappia qual è la tua posizione. “Qualunque cosa tu faccia… chiunque tu sia… hai il mio appoggio… Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, qualsiasi cosa… oggi, domani o tra un anno… io sono qui per te… Voglio che tu lo sappia… Sei mio figlio e ti voglio bene… Io sono dalla tua parte”. Punto.

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* Tutto ciò che ho scritto sopra è un’opinione. È la mia verità. (Da non confondere con La Verità). Il mio consiglio è prendere il mio consiglio e scomporlo, analizzarlo, criticarlo. Rimettere tutto insieme. Chiedere un secondo parere. Poi un terzo. Prendere ciò che serve. Lasciare il resto. Fare ciò che per te funziona.


** N.d.T. Wentworth utilizza il termine-ombrello queer che copre un ampio spettro di identità di genere e/o orientamenti sessuali, non riconducibili ad un’etichetta specifica e semplificativa come gay, lesbica, bisessuale o transgender.

Side Note: Alcune persone Queer identificano se stesse a un livello e in un modo che va oltre le rigide limitazioni della tradizionale interpretazione binaria dell’orientamento sessuale (omo/etero/bi-sessuale) e dell’identità di genere (maschio/femmina). Per loro, essere Queer significa escludere tali etichette e le aspettative ad esse legate per abbracciare il fatto che la loro sessualità (identità, orientamento, scelta o preferenza che sia) è semplicemente diversa dalla ‘norma’ in uno o più modi.

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