Mailbag 7.2

Mailbag 7.2 (16/5/2018) – Vedi l’originale.

Traduzione a cura di Heather Purple

Q: Mi chiedevo: da dove cominci quando scrivi una sceneggiatura?

A: Prima di tutto, creo l’atmosfera. Una sedia confortevole. Una tazza di caffè. Il giusto sottofondo musicale. Una superficie piana su cui posizionare il mio portatile. Una vista gradevole ma che non mi distragga. Qualche ora (meglio un giorno intero) senza impegni programmati. Poi, una volta sicuro che tutti i miei bisogni sono soddisfatti, prendo posto, un sorso di caffè e via.

 

Q: Ti sei mai pentito di aver fatto o non aver fatto qualcosa nella tua vita?

A: No. Non credo nei rimpianti. Credo negli errori. Scelgo di credere (ed è davvero una scelta) che gli errori siano utili perché offrono un’occasione di riflessione. Di crescita. Di cambiamento. Talvolta a caro prezzo. Perciò, anche se ci sono tante cose che ora farei in maniera diversa se ne avessi la possibilità (“Se avessi saputo allora quello che so adesso”, ecc), no, non ho rimpianti.

Q: Vale la pena muoversi in una direzione completamente nuova (in termini di carriera) ad un’età piuttosto matura? Saresti in grado di decidere per il meglio?

A: Naturalmente. Che è cosa facile da dire per me. Ho più spazio di manovra (per certi versi) e meno da perdere (per altri versi) di una persona comune.

Muoversi – in svariati modi o direzioni – è essenziale (secondo me). Specialmente con l’età (matura o meno). Il mio dentista dice, dei miei denti, “Lava solo quelli che vuoi continuare a tenerti”. Il mio istruttore di Tai Chi dice, del mio corpo, “Muovi solo quello che vuoi continuare ad usare”. Preferirei continuare ad usarlo tutto. Tutte le parti di me. Braccia, mani, gambe, ginocchia, collo, dita dei piedi… il più a lungo possibile.

Ma la tua domanda riguarda il cambiare lavoro, più precisamente. Non ho idea se per te “vale la pena” cambiare lavoro. (Come potrei? Non ti conosco.)

Voglio raccontarti di quando una mia amica iniziò una professione completamente nuova che non c’entrava (quasi) per niente con qualsiasi cosa avesse fatto prima… a 46 anni. Quando finì quello che lei considerava il necessario periodo di studio e di formazione ne aveva…56. Le persone sedute accanto a lei il giorno della laurea erano dei trentenni. La mia amica (secondo me) è stata molto coraggiosa. Ha corso dei rischi. Ha osato sognare. È diventata una maestra nel reinventarsi, nel trasformarsi. Ed è un modello per me. Quando penso a lei mi rendo conto che io, a 45 anni (un bambino!) posso immaginare di intraprendere, beh, se non una carriera completamente nuova almeno un modo nuovo di esprimere me stesso. Posso (ancora) diventare qualcun altro, qualcosa d’altro. In aggiunta a ciò che già sono. È possibile. Tante cose sono (ancora) possibili.*

È questo – il credere nella possibilità del cambiamento, in tanti modi e in tante direzioni – che tiene i demoni (e ce ne sono!) di ogni sorta nelle loro gabbie, no?

*Questa amica mi disse anche che mi vedeva come scrittore molto prima che cominciassi a scrivere davvero. “Ti ci vedo a scrivere”, diceva. “No”, dicevo io, zittendo lei/me/la cosa, con decisione. “Ti ci vedo”, continuava lei. E io “No, smettila di ripeterlo”. MA ANDIAMO AVANTI.

Q: Come prendi una decisione difficile quando davanti a te ci sono tante opzioni?

A: Gran bella domanda. Potremmo dire di tutto. Ma, come regola generale, se ho una decisione difficile da prendere, a prescindere dalla situazione, il tutto si riduce a questo: “Quale mi permetterà di dormire la notte?”

Quando mi scanso, mi defilo, sono evasivo, mento, fingo, mi tiro indietro, faccio lo scaricabarile, mi arrendo, mi svendo, imbroglio e/o mi becco una fregatura che non merito (capita), non riesco a dormire la notte. Perciò faccio ogni giorno del mio meglio per rimanere quello che sono. O quello a cui aspiro essere. E, nel caso in cui sono proprio costretto a scansarmi, defilarmi, essere evasivo, mentire, fingere, tirarmi indietro, fare lo scaricabarile, arrendermi, svendermi, imbrogliare e/o beccare fregature che non merito, il giorno dopo mi alzo dal letto e faccio ciò che è necessario per sistemare le cose.

Q: Hai mai preso in considerazione l’idea di diventare padre? Qual è la tua idea sull’avere dei bambini?

A: Non ho in programma di diventare padre. Che non vuol dire che non lo diventerò mai o che non possa diventarlo. E se mai l’universo farà arrivare qualcuno tra le mie braccia, mi assicurerò che siano un posto confortevole.

E poi, io sono già padre. Ho dato vita a sceneggiature. Ho fatto da padre a case, comunità. E a me stesso. Ho scelto di istruire di nuovo me stesso*. Di disimparare le prime dannose lezioni (su di me, sul mondo, sul rapporto tra me e il mondo) e di rimpiazzarle con altre che nutrono, guidano, sostengono. Giungendo (si spera) a quello che mi piace pensare sia “un’impronta più leggera”. Questo tipo di cure paterne – o materne (anche queste scelte da me) – è un impegno a tempo pieno**. Un lavoro fondamentale. Estremamente difficile ma fondamentale. Un lavoro che non avrà fine fintanto che esisto.

* (Ed è una scelta)

** Nella mia mente non faccio veramente distinzione tra cure “paterne” e “materne” di me stesso. Non sono convinto che una distinzione per genere sia opportuna o d’aiuto. Rispetto ciò che vi è di Maschile in me e rispetto ciò che vi è di Femminile in me. E credo di rispettare entrambi non dando continuamente delle etichette.

Q: Ho iniziato a lavorare a maglia per alleviare i miei problemi di salute mentale e l’adoro. Hai mai provato a lavorare a maglia?

A: Certo che sì. Mi è piaciuta molto la parte che si svolge insieme agli altri – andare a lezione, sedersi intorno al tavolo con gli altri principianti, tutti ugualmente impacciati. Tutto il resto… non mi è piaciuto. Migliaia di nodi significa migliaia di occasioni per incasinare tutto. Che poi il casino rimane lì, perché ti accorgi di aver incasinato tutto solo 10 maglie più avanti ed è troppo tardi per tornare indietro così tutta la sciarpa è rovinata, e perché ho scelto questo colore di m—da, poi? Un perfezionista irriducibile come me? Non aiuterebbe la mia salute mentale. Anzi il contrario.

 

Q: Quando senti la scura nube della depressione su di te come fai a dire alle persone che ti vogliono bene come ti senti davvero dentro? Lotto con me stessa per farlo ma finisco con l’indossare una maschera e poi crollo.

A: Proverei a scriverlo. Su un foglio di carta o in una e-mail. (Qualsiasi mezzo con cui mi sento a mio agio). Scriverei tutto quello che voglio dire. Tutto ciò che le persone che mi amano voglio sappiano su di me, su ciò che mi sta accadendo, su come mi sento. Anche quanto è difficile parlare di queste cose di persona, quanto è difficile iniziare una conversazione. E poi la darei o la spedirei loro prima che possa cambiare idea.

Potrei anche pendere in considerazione l’idea di scrivere alla mia maschera come se fosse una persona vera, un amico iper-protettivo che pensa di tenermi al sicuro aiutandomi a tenere i miei casini per me e a non mostrarli all’esterno. Spiegherei alla mia maschera perché i suoi servizi non sono più richiesti. Se pensassi che mi ha aiutato in qualche situazione la ringrazierei. (“Grazie per avermi aiutato a non mostrare i miei casini a quella persona, che so per esperienza non essere affidabile”). E poi la licenzierei*. O la terrei con me part-time. (“Ho bisogno di te con questa persona… non ho bisogno di te con quest’altra persona…”). Ma stabilirei, in teoria, quello che è il primo passo verso la realtà dei fatti –  che sono io il capo. Che non lavoro per la maschera, è la maschera che lavora per me. Io decido quando indossarla e quando metterla da parte. (Tutto questo potrebbe non essere o sembrare vero…ancora. Ma è la mia lettera/la mia email. Posso dire quel cavolo che mi pare.)

*Quando ero impegnato nel Men’s work (Mankind Project) lo chiamavamo “licenziare il tuo rappresentante”, il tuo addetto alle pubbliche relazioni il cui unico lavoro è intrappolarti in una spirale di bugie per avere la versione di te più elegante, più brillante, più in tiro da servire per il pubblico consumo.

Q: C’è un falso profilo online che si spaccia per Wentworth Miller e che chiede denaro ai suoi fan. Dice di avere dei problemi con il fisco e che è stato truffato da chi ha gestito le sue finanze. Tantissimi fan gli hanno già mandato del denaro! Stiamo avvisando i fan via internet di non mandargliene! Per favore, Wentworth – se stai leggendo – manda un messaggio ai tuoi fan dicendo di non dare via denaro o altro.

A: Che cosa schifosa. Una cosa davvero davvero schifosa. Mi stupisce (ancora) quello che certa gente arriva a fare. Mi dispiace che sia accaduta o che stia accadendo questa cosa. Per la cronaca, sì, per favore – non inviate denaro a chiunque si spacci per me.

È di aiuto? Farà la differenza? Ne dubito. Purtroppo, non sono in grado di rendere il mondo sicuro per gli ingenui, le persone fiduciose, i creduloni (io sono tra questi). Non riesco a rendere sicura neppure questa pagina. Ahimè. Ma la mia idea è che, se scegli di interagire con me (o “me”) o chiunque altro online*, a conti fatti sei tu il responsabile di ciò che accade dopo. Sei responsabile per come interagisci con questa pagina come con qualsiasi altra pagina. Autentica o meno. Se decidi di credere che ti scrivo*, infilandomi tra i tuoi contatti, per chiederti del denaro e/o per cercare di venderti delle magliette per la festa della mamma su una pagina Facebook palesemente fasulla…che posso dirti? “Hai voluto la bicicletta e ora pedala”.**

* (Ed è una scelta.)

** N.d.T. In realtà letteralmente, Wentworth scrive “Se compri il biglietto devi farti il viaggio”, citando una frase tratta dal romanzo “Paura e disgusto a Las Vegas” del giornalista e scrittore Hunter S. Thompson, tradotto in italiano da Sandro Veronesi per la Bompiani. Dal romanzo è stato tratto il film noto “Paura e delirio a Las Vegas”, la frase “Se compri il biglietto, devi farti il viaggio” è diventata famosa grazie a questa pellicola.

Q: Hai qualche consiglio per chi si sente come se stesse annegando senza nessuna speranza?

A: Sì. Per tre anni questa pagina è stata piena di scritti/post/video/link/liste/suggerimenti che toccavano molti argomenti, in primo luogo e costantemente la salute mentale e la depressione. Per una raccolta di Q&A relative alla salute mentale delle precedenti Mailbag clicca qui:

https://www.facebook.com/notes/wentworth-miller/mailbag-mental-health-remix/1717037448509190/

Q: Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del curarsi con gli animali e della pet therapy. Ti senti in sintonia con gli animali?

A: Ho sentito cose molto positive sulla pet therapy e sugli animali per il supporto psicologico. Ma i pavoni che volano in classe economica direi che è troppo. (Magari meritano di volare in prima classe?).

Gli animaletti domestici hanno sempre fatto parte della mia infanzia. Sono cresciuto con una sfilza di cani, conigli, uccellini, pesci rossi e, occasionalmente, un criceto siberiano… nessuno dei quali era “mio”. Tecnicamente (a parte il pesce rosso). Appartenevano alla famiglia in generale. Ne ho amato qualcuno, mi sono divertito con molti di loro e ho tollerato tutti gli altri. Ora, a causa delle allergie, non ho animali. Ed è complicato avere un cane o altro quando sei sempre in viaggio per lavoro.

Detto questo, ho degli animali virtuali. Decine di animali –disegnati, dipinti, scolpiti – sono allineati lungo le pareti e sugli scaffali di casa mia. Tengono un’ottima compagnia, sono estremamente ben educati e richiedono pochissima cura, giusto una spolverata ogni tanto.

Sono aperto all’idea dello spirito animale o dell’animale guida. Ci saranno stati dei periodi in cui vedevo in continuazione sempre lo stesso animale (o una sua rappresentazione). Come quando compri una macchina nuova e cominci a vederla dappertutto eccetto il fatto che io non ho mai comprato un gufo. Avrò cercato su Google l’animale in questione, letto il suo significato nel mondo dei sogni e della simbologia, immaginato cosa potesse significare la sua presenza in quel particolare momento della mia vita senza trovare alcuna prova della veridicità della cosa. Ma alimenta l’immaginazione. Un po’ come leggere l’oroscopo del giorno.

Sono aperto anche all’idea che gli animali sono meglio connessi alle cose che vanno “al di là”, cose che noi umani non riusciamo a capire o a vedere. Cani a cui non piace il tuo nuovo fidanzato. Gatti che fissano intensamente qualcosa alle tue spalle… poi ti giri a guardare e non c’è proprio niente (anche i bambini piccoli lo fanno). Nella mia famiglia, un certo uccellino è finito col rappresentare una persona cara che non c’è più. Quando vediamo questo uccellino* diciamo “Guarda, è venuta a trovarci quella persona… veglia dall’alto su di noi…”. Non può essere provato certo, ma ora che è stato dato a quell’uccello un particolare significato, quando lo vediamo pensiamo a quella persona cara. E proviamo cose e ricordiamo cose che altrimenti potremmo non sentire o ricordare. E di questo siamo grati.

*In natura. Non nel forno. Giusto per essere chiari.

2 Risposte a “Mailbag 7.2”

  1. Anche nella mia famiglia la luna e un certo tipo di farfalla rapprersentano due persone care che non ci sono piu’.
    Non c’è una spiegazione logica .
    Forse è anche bello credere che non finisca mai la nostra esistenza vicino a chi amiamo.

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