Active Minds National Conference 2016 – Remarks

Discorso scritto per l’associazione “Active Minds” per la National Conference 2016 

written by: Wentworth Miller || Dicembre 2016


[Quello che ho preparato è qui di seguito. Tutto fatto in un giorno. Come vanno di solito queste cose. – W.M.]

Grazie mille. E’ un onore. E un privilegio. Essere qui.

Voglio ringraziare Alison e tutti quelli che dell’Active Minds che hanno lavorato duramente per realizzare tutto questo. Grazie per avermi voluto qui stasera. Grazie per avermi invitato a condividere la mia esperienza durante la vostra conferenza, nella sede della vostra comunità, e i vostri piani per il futuro.

E’ molto importante quello che state facendo qui. Mi riempie di gioia sapere che c’è l’Active Minds lì fuori nel mondo. Dentro e fuori di qui. Diffondendo le proprie idee. Salvando vite.

E cambiando la cultura.

Tornando al 1990, quando ho iniziato ad andare al college, non c’era l’Active Minds. Ad essere onesti, penso che nessuno avrebbe voluto esserne a conoscenza – o ammettere – di averne bisogno.

Quando ero al college, nessuno diceva, “Hey – è ok chiedere aiuto. ‘Stiamo cambiando il modo di discutere della salute mentale.”

Quello che dicevano era, “Ora sei circondato dal meglio e dai più brillanti.”

E l’ho presa come una sfida. L’ho presa come una minaccia.

Per me sembrava che il significato sottointeso fosse, se sei il migliore e il più brillante, non hai bisogno di aiuto. E se ne hai bisogno, allora forse non vali niente.

Mi ricordo di essermi sentito davvero impaurito. Tutti quelli che incontravo durante il primo semestre da matricola… Tutti sembrava avessero le idee chiare. Tutti sembrava sapessero esattamente chi fossero. Esattamente quello che volevano.

“Oh io ho sempre saputo che sarei stato un dottore… o un avvocato… o un dottore e un avvocato…”

Se dovessi sentire cose del genere penserei, “Wow. Non so neanche se avrò voglia di scendere dal letto domani. Non so neanche se voglio essere qui. Tipo, qui qui.”

Ed è stato vero per molto tempo.

Per me, la depressione è iniziata durante l’infanzia. Non so se è stata causa dell’ambiente, chimica, ereditaria… Qualunque fosse la causa scatenante, non è stata riconosciuta. Quando avevo 15 anni c’è stato un tentativo molto silenzioso ma altrettanto reale di porre fine alla mia vita. Cosa che non ho detto a nessuno. E dopo qualche anno, ero fuori dal college. Ancora depresso. Ancora in lotta. Nessun sistema di supporto in giro.  Sul punto di affrontare una nuova serie spaventosa di sfide.

Compagni di stanza. Esami di metà trimestre. Esami scritti. Esami finali. Tirocini estivi. Bevute. Appuntamenti. Socializzare. Domande sull’identità. Domande sulla sessualità. Domande sul futuro. La minaccia di affrontare tutto questo… per altri quattro anni.

Molto rapidamente mi sono sentito sopraffatto. Non preparato. Totalmente travolto.

Ho iniziato a vedere uno psicologo scolastico – gratis – per un’ora, una volta a settimana, al centro di salute mentale per studenti. Perché, al tempo, era l’unica cosa disponibile. Se c’erano altre risorse a disposizione – gruppi di supporto, consulenza faccia a faccia – se fossero esistiti, non ne ero a conoscenza.

E a dire il vero, ero riluttante a chiedere.

Non volevo che nessuno scoprisse cosa mi stava davvero accadendo. Non volevo che nessuno scoprisse chi fossi realmente. O chi credevo di essere. Debole. Imperfetto. Non il migliore. Non il più brillante. Che non merita tutte quelle occasioni d’oro.

Meglio solo… restare riservato. Tirare avanti. In sofferenza. E silenzio.

E una notte, nella primavera del mio primo anno, sono andato oltre quello che potevo sopportare.

Dopo il mio tentativo, c’è stata più sofferenza. Più silenzio.

La scuola ha preso provvedimenti ufficiali per garantire la mia sicurezza, il mio continuare ad iscrivermi ai corsi.  Cosa per cui ero grato. Un paio di amici mi hanno fatto domande molto attente, molto delicate. Poi hanno smesso. E anche per questo sono stato grato.

Perché non volevo parlarne. Era imbarazzante. Ero umiliato. E’ stato come se ogni pensiero negativo che avessi mai avuto su di me… abbia dimostrato che tutti erano effettivamente veri. Di fronte ad un pubblico.

La vergogna era reale. E tossica.

E allo stesso modo lo era il marchio.

Due giorni dopo il mio tentativo, qualcuno vicino a me, qualcuno la cui opinione per me aveva un valore, disse, “Ti devo amare di meno da adesso in poi. Per proteggermi.”

Ed ho pensato, “Ho afferrato il concetto. Capisco. E’ giusto così. E’ quello che mi merito.”

Quelle parole mi hanno perseguitato. Mi hanno azzittito. Fino alla laurea. E oltre.

“Ti devo amare di meno da adesso in poi.”

Quasi 20 anni dopo, questa è stata la prima riga del dialogo nella prima scena nel primo film che abbia mai scritto.

Ho venduto lo script. Il film è stato fatto. E la mia carriera da scrittore è stata lanciata.

E in molti modi, è stata la prima volta che ho raccontato la mia verità. Che ho condiviso la mia storia con gli altri. Che ho fatto pratica nel tirare fuori qualunque cosa avessi dentro di me – senso di colpa, vergogna, paura, rabbia, dolore, gioia – fuori.

Mascherata da finzione. Ovviamente.

All’inizio, ho avuto bisogno di personaggi di fantasia che parlassero per me. Proprio come ho fatto quando recitavo. Perché avevo paura. Perché raccontare la mia verità era una cosa nuova per me.

Ma è stato un buon inizio. Un buon allenamento.

Ora sono passati 5 anni. Non scrivo più sceneggiature. Ora scrivo della mia vita. Dei miei pensieri. Delle mie esperienze. E le condivido tutte online. In una discussione pubblica. Dove è letta da migliaia di sconosciuti.

Ora sto di fronte a gruppi di persone a cui parlo per me stesso. Di me stesso. Come me stesso. E ci vuole pratica. Ancora.

Vi dirò di più. Questo lavoro… ed è un lavoro… un buon lavoro… richiede un enorme quantità di fiducia. Fiducia in quello che dico. Fiducia nel fatto che ho il diritto di dirlo. Fiducia che qualcuno, da qualche parte stia ascoltando. E che sappiano esattamente di cosa sto parlando. Perché ci sono passati anche loro.

Scegliendo di mostrarmi e raccontare la mia storia, scegliendo di essere qui – tipo qui qui – ho fiducia nel fatto che sto rendendo il lavoro più facile per qualcuno, da qualche parte per raccontare la sua storia. E forse aggiungere qualche altro capitolo.

Ho fiducia nell’essere al servizio degli altri. E di me stesso. Perché so, adesso, che quando rischio di mostrarmi come “inamabile”, quello è il mio modo di dimostrare il mio amore. Quando rischio di mostrarmi come “debole”, quello è il mio modo di essere forte* [*NB: in realtà lui parla di “broken” e “whole”, ovvero di “rotto” e “intero”… giocando appunto sul duplice significato di broken come “rotto, debole, imperfetto” e il suo contrario. In Italiano fa schifo, quindi mi tocca usare il “forte” anche se non è esattamente quello che intende lui]. Condividere la mia storia è – ed è stato – un salvavita. Per me.

Ed è spaventoso. Ancora.

Perché ogni volta che lo faccio, ogni volta che scrivo o parlo di cose che il mio Io più giovane ha cercato di tenere a bada così a lungo e a fatica… Ogni volta che trovo il coraggio di dire “Si. Anche io.”… E’ come aprire una porta e camminare da soli dentro ad una stanza buia come la pece… è scura… e devo sentire la mia strada… ed è spaventoso… Poi trovo l’interruttore… e accendo la luce… e vedo che sono circondato… Vedo una stanza piena di gente…

Ce ne sono così tanti come noi. Qui. E fuori.

Sono stato messo al corrente del fatto che l’Active Minds si sta avvicinando al suo 15esimo compleanno… E mi piacerebbe offrire un molto, molto prematuro “grazie.”

Perché ci sono stati un sacco di studenti. Un sacco di studenti che sono stati raggiunti… A cui è stato fatto capire che tutti abbiamo i nostri problemi… tutti noi… Che a volte scendere giù dal letto la mattina può valer la pena solo se ci fosse un encomio e il riconoscimento come una “A” sulla pagella…

C’è un sacco di gente giovane che sa, adesso, che puoi lottare e cadere e chiedere aiuto e allo stesso tempo essere il migliore e il più brillante… Che una cosa non escluderà l’altra…

Una faciliterà l’altra…

Quello è un nobile sforzo. Sono tempo ed energia ben spesi.

Tutto questo mi commuove. Mi ispira. Sono onorato di aver potuto farne parte.

E non vedo l’ora di vedere cosa ci sarà dopo. Grazie.


Traduzione a cura di KIARA DESA

Discorso scritto originale

Video conferenza Active Minds 2016