Mailbag 7.3 – Venerdì 1 giugno 2018

Mailbag (7.3)
original LINK ➫ ➬ ➩ ➪ ➭ ➮ ➯ ➱ WENTWORTH MILLER·VENERDÌ 1 GIUGNO 2018
Questa volta Wentworth ci risponde in maniera differente rispetto le precedenti mailbags. Risponde a un’unica domanda, sotto-forma di “intervista”. Gli viene chiesto “cosa vorresti ti fosse chiesto?” e decide di utilizzare questa forma nel dare la risposta, facendosi una sorta di intervista su cosa vorrebbe che gli venisse chiesto nel corso di una conversazione. Intelligente modo di rispondere ad un’unica domanda, facendoci scoprire qualcosa in più di sé attraverso un unico filo conduttore.
Graphic by Artwork4wm

 

 
Traduzione a cura di Lucia Salvato

Grazie per tutti gli auguri di compleanno, ragazzi. Molto premurosi. E apprezzati. State al sicuro là fuori. – WM

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D: Sei stato intervistato così tante volte – Qual è quell’unica domanda che vorresti che qualcuno ti avesse chiesto ma non l’ha mai fatto?

 

R: Domanda eccellente. Ecco la mia risposta/domanda…

 

Caro Wentworth…Immagina che io sia il tuo ragazzo/compagno/marito/chiunque-tu-abbia.  A fine giornata, quando torni a casa da me, e sei turbato per qualcosa, forse per qualcosa accaduto al lavoro (un contrattempo, una discussione con quel collega provocatorio), o forse per qualcosa successo sulla via verso-il-lavoro/di-ritorno-dal lavoro… Ad ogni modo, qualcosa ti ha fatto incazzare e hai bisogno di toglierti questo peso di dosso… Una volta che hai finito di dire la tua, supponendo che io abbia fatto decentemente la mia parte ascoltandoti, supponendo di non averti interrotto/di non essermi intromesso ogni 5 secondi e di non aver discusso con te al punto che ora sei più incazzato di quando sei entrato da quella porta… Adesso che hai esposto il tuo turbamento ed è il mio turno di rispondere, qual è l’ultima cosa che vorresti sentirti dire? Tipo, DAVVERO l’ultima cosa?

 

“Ecco cosa dovresti fare”.

 

Questa è l’ultima cosa che voglio sentire. A meno che non te lo chieda, di punto in bianco, “Cosa dovrei fare?”

 

Non so il perché, quando esprimo un turbamento, (alcune) persone sentono il bisogno di rispondere con una “correzione”. Lo fanno ugualmente. Sia che io lo abbia richiesto o meno, eccoli. Pronti con una correzione.

 

Ecco cosa dovresti fare”.

 

Notizia dell’ultima ora: Non te l’ho chiesto. (A meno che non l’abbia fatto) potrei sapere cosa fare. O cosa farò. Potrei solamente volermi esprimere. E apprezzerei che tu (la persona con la quale sono in relazione) mi tenessi un caloroso spazio d’ascolto. Quando cerchi di “correggermi”, mi fa sentire come se avessi bisogno di una correzione. Non mi piace. Non mi piace che mi si faccia sentire come se fossi da sistemare. Un problema che necessita una soluzione.

 

Dai Wentworth – le persone sono fatte così. Alla gente piace sistemare le cose. Piace sentirsi utile.

 

Può darsi. O forse è un alimentare il proprio ego. “Io sono quello che sistema tutto”. Forse le persone si sentono a disagio quando gli viene chiesto di dare spazio al disagio altrui. Quindi ricorrono alla loro Cassetta Dei Consigli Utili, martellano/segano/carteggiano (quello che ritengono sia) il problema, ci schiaffano un fiocco sopra e te lo fanno scivolare sul tavolo verso di te non appena umanamente possibile.

 

Di nuovo. A meno che non ve lo chieda, a bruciapelo, “Che cosa dovrei fare?” non date per scontato che voglia sentirlo.

 

Ehi Wentworth – cosa VUOI sentire?

 

Un’ altra eccellente domanda. Ve lo dirò. Dopo che ho finito di dire la mia, condividendo con te il mio turbamento, vorrei sentirmi dire le seguenti 3 cose:

 

  1. Come posso esserti di supporto in questo momento?” Non “Come posso aiutarti?” Perché potrei non volere aiuto. O pensare a me stesso come bisognoso di aiuto. C’è valore nel dire la mia verità. Nel praticare l’auto-espressione. Nel me che condivido con te quello che c’è nel mio cuore e nella mia mente (senza che venga interrotto/che mi si parli sopra) potrebbe, di fatto, essere tutta la “sistemazione” che io richieda. In questo caso, tutto ciò che devi fare è mantenere un caloroso spazio di ascolto mentre io risolvo tutto ciò che c’è da risolvere. Per me stesso.*

 

“Come posso esserti di supporto in questo momento?” segnala – dolcemente, amorevolmente – che a) tu mi hai ascoltato nel mio turbamento e b) che sei dalla mia parte. Per il momento, questo potrebbe essere tutto ciò che ho bisogno di sapere.

 

  1. La prossima cosa che vorrei sentire è, “Come si fa? Come si fa a esserti di supporto in questo momento?” Questa domanda è una vittoria. Per te. Perché riduce la tensione. Adesso non devi cercare di capire cosa fare/dire dopo. Siamo Onesti – potresti non avere la minima idea di come si faccia a sostenermi. Potresti avere bisogno di assistenza per capirlo. Chi meglio può assisterti? Di me? Del ragazzo che ha bisogno di supporto? Il che ci porta alla terza cosa che vorrei sentire.

 

  1. Dimmelo tu”. Dopo “Come posso darti il mio supporto in questo momento?” e “Come si fa ad esserti di supporto?” quello che più voglio sentire è “Dimmelo tu”. Sì. Apprezzerei moltissimo che mi sia permesso di decidere come mi si potrebbe supportare nel mio turbamento.

 

Naturalmente c’è una possibilità che io non lo sappia. Se dico, “Non lo so cosa potresti fare. Sono aperto a idee” sarebbe carino averne alcune pronte. Alcuni suggerimenti: “Posso (continuare ad) ascoltare…Darti un abbraccio…Offrirti qualche commento (se sei pronto a questo) … Potremmo fare una passeggiata…Prendere un boccone…Tornare sull’argomento più tardi…”

 

Qualunque cosa tu suggerisca, concludi con “Dimmelo tu”. Questo è fondamentale. Evidenzia che sono responsabile della conversazione su/attorno il mio turbamento. Perché? Perché mi dà potere. O mi ri-potenzia. Perché tra il tempo che lascio casa la mattina e il tempo che ritorno la sera, il mondo troverà mille modi per sminuirmi. Per darmi un calcio nel sedere. Se torno a casa dal mio ragazzo/compagno/marito/chiunque-io-abbia, e condivido con lui il mio turbamento, e lui interviene con la “correzione”, sta sottolineando la mia mancanza di potere. Essere turbati, non essere nemmeno autorizzati a dettare la conversazione su/attorno il mio turbamento, aggiunge la beffa al danno. Mettermi al comando mi mette sulla via del ritorno all’autoaffermazione. E mi fa sentire che sei Dalla Mia Parte. Che non sono solo in…qualunque cosa sia.

 

Nota: Dalla Mia Parte e Essere D’accordo Con Me sono due cose diverse. È possibile essere sia Dalla Mia Parte e pensare che sono nel torto. E che sto possibilmente esagerando. C’è un momento “buono” per dirmi che sono nel torto e/o che sto esagerando? Forse. Dipende dalla situazione. Ma sono affermazioni tendenziose, no? Dette in risposta a un turbamento, sembra che possano scatenarne un secondo.

 

Stai esagerando”. Cerco di evitare questo tipo di commento. a) È provocatorio. C’è qualcuno a cui piace essere accusato di esagerare? Se non ero turbato prima, lo sono adesso. b) Simile alla sensibilità al tono di voce, questa è un’osservazione “utile” che usa la vergogna per schiacciare e zittire. Stai alleggerendo il tuo disagio negando il mio. c) Col dovuto rispetto – chi sei tu per decidere se sto esagerando o meno? Sei me? Sei un gay di mezza età di razza mista con un passato di problemi di salute mentale e con la mia esatta conformazione spirituale/mentale/chimica? Se non lo sei…Beh…siamo d’ accordo che mantenere uno spazio d’ascolto può significare mantenere la pace.

 

“Hai torto”. Anche questo provocatorio. Ovviamente, se mi sto sfogando riguardo a quel collega impegnativo e Sono Molto Agitato e Sicuro Ho Ragione Io, e tu pensi che ci sia una buona possibilità che io abbia torto, sicuramente puoi guidare la conversazione con un “Hai torto”. Potresti pure giocare a pignatta con un alveare. La mia sensazione è che faresti meglio a farmi arrivare a questa conclusione da solo.

 

Wentworth…come? Come posso farti arrivare a quella conclusione da solo?

 

Ti dirò una delle cose che ha funzionato per me. Allargo la conversazione. Dico: “Cosa sta succedendo davvero? Con lui/lei/loro? Perché pensi che il tuo collega sia così provocatorio? È un comportamento recente? Si è sempre comportato così?” ecc. Facendo domande, ti invito a metterti nei panni del tuo collega. Questo è il primo passo verso la comprensione. È il primo passo verso la compassione. È il primo passo verso il cercare di capire come comportarsi con quel collega. Che potrebbe essere semplicemente un Essere Umano Che Sta Attraversando Un Momento Difficile. (Come tutti noi).

 

Quando sono profondamente turbato e infuriato con qualcuno, di solito perdo (momentaneamente) di vista la sua umanità. Lo riduco a “Quella testa di c-zzo”. Non Una Persona Reale come Sono Io Una Persona Reale. Se il mio ragazzo/compagno/marito/chiunque-io-abbia, mi invita – dolcemente, amorevolmente – a mettermi nei panni della testa di c-zzo, ad immaginare il suo punto di vista, inizierò a restituirgli il suo lato umano. Troverò comprensione e compassione sepolte sotto la mia rabbia. Mi verranno in mente modi nuovi/diversi di relazionarmi con il mio collega. Ed evito così di comportarmi io stesso come una testa di c-zzo. Ma prima potrei aver bisogno di essere invitato a fare ciò.

 

Un’altra sfida nel tenere uno spazio amorevole di ascolto verso qualcuno che ami? Quello che esce dalla sua bocca potrebbe essere davvero F-ttutamente Noioso. Anche quando/se (a volte specialmente quando/se) è turbato. La gente è noiosa a volte. Io sono noioso a volte. Capita.

 

Secondo me, parte del lavoro nell’essere in relazione con qualcuno (romantica o meno) – ed è un lavoro – è essere un ascoltatore “buono”/”attivo”. Lavorare per interessarsi in cosa ha da dire, non importa quanto noioso (per me). Interessarsi DEL suo interesse. “Perché sta parlando di questo proprio adesso? Cosa c’è dietro l’apparenza? Cosa lo sta spingendo a scavare in questo particolare argomento proprio in questo modo?” E da questa posizione si inizia ad ascoltare.

 

Mi stupisce come (alcune) persone non possono/non lo fanno/non lo faranno. Nella mia esperienza, se parli a certe persone di loro stessi o di argomenti legati a loro stessi, hai la Loro Totale Attenzione. Nel momento in cui non lo fai, il loro livello di attenzione cala. Precipitosamente. E non riescono a mascherarlo. Daranno un’occhiata. Cambieranno argomento. Si faranno un caffè. Questo non incoraggia l’intimità. O la fiducia. E (secondo me) è proprio. F-ttutamente. Da pigri.

 

Sono sicuro che ora è chiaro che non sto solo parlando di come voglio essere ascoltato quando sono turbato. Sto anche parlando di come voglio essere ascoltato quando sono in una crisi (relativamente alla mia salute mentale). Queste cose esistono su un largo spettro. Le persone che sanno come mantenere uno spazio di ascolto attivo, che si astengono dal “correggere”, che capiscono che se HO un problema, non sono io, me stesso, il problema…valgono tanto oro quanto pesano. Ed è a loro che vorrò rivolgermi nel momento del bisogno.

 

Che cosa dico!?! Cosa dico a qualcuno in crisi!?!” Molte persone sembrano concentrarsi su questo. Sul cosa dire. Ma questa è solo una parte della questione. Forse nemmeno la più importante. Si tratta anche di ascoltare. È così. Il buon ascolto è raro. Non ha prezzo. Ed è profondamente apprezzato (da me). “Ehi – che succede? Sembri turbato. Parlamene. Ti ascolto”.

 

Questo, a fine giornata, è ciò che più voglio sentire.

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*Ehi Wentworth – che c-zzo è un “caloroso spazio di ascolto?”

 

È più facile descrivere cosa non è:

 

  1. Io che ti parlo sopra.

 

  1. Io che ti interrompo ogni 5 secondi.

 

  1. Io che dico “Capito”. Ripetutamente. Come un pappagallo. Come un commesso di un supermercato che scansiona oggetti mentre scorrono sul nastro trasportatore.

 

  1. Io che dico “Capisco”. Ripetutamente. Tubando. Compiaciuto come un gatto che si lecca i baffi. Perché mi piace pensare di essere quello che “capisce tutto”.

 

  1. Io che sbadiglio.

 

  1. Io che sbadiglio e lo “nascondo”. (Ragazzi. Non fatelo. Davvero. Sembrate che state per avere una sincope).

 

  1. Io che sospiro.

 

  1. Io che mi stiracchio.

 

  1. Io che mi faccio un panino.

 

  1. Io che fisso il pavimento, braccia conserte, aspettando che La Pianti.

 

  1. Io che cambio discorso nell’istante che smetti di parlare.

 

  1. Io che cambio discorso parlando di me nell’istante che tu smetti di parlare (“Questo mi ricorda di me quella volta che…”).

 

  1. Io che reclino la testa, braccia conserte, che socchiudo gli occhi verso di te o il soffitto, come se non credessi a quello che sento. O sto sentendo odore di gas. O entrambi.

 

  1. I miei occhi che vagano per la stanza.

 

  1. I miei occhi che si spalancano, come due ciambelle.

 

  1. I miei occhi su di te, la faccia fissa in Una Espressione Attenta mentre la mia mano lentamente afferra il telefono, come se avesse una mente tutta sua, come se non avesse niente a che vedere con me.

 

  1. Io che guardo il mio telefono.

 

  1. Io che dico “Pensavo che ne avessimo già parlato di questo”.

 

  1. Io che ho avuto un’idea riguardo a qualcosa che tu hai appena detto e vorrei interromperti ma educatamente mi trattengo…Poi mi assicuro che tu ti accorgi che mi sto educatamente trattenendo facendo un bel respiro e trattenendo il fiato, cosa che ti fa parlare più in fretta, perché vedi che sto trattenendo il fiato, che sto aspettando che tu smetti di parlare cosicché posso dire questa incredibile arguta cosa per la quale sto morendo – e adesso sto Letteralmente Morendo – dalla voglia di dirla.

 

 

I commenti non dovrebbero essere del tipo “Ecco cosa dovresti fare”. I commenti potrebbero essere del tipo “Ho una domanda” o “Ho un’idea…Se sei pronto a sentirla”. Idealmente, la tua domanda/idea guiderà – dolcemente, amorevolmente – la conversazione su un piano più profondo. Mi assisterà nell’arrivare alla radice del mio turbamento (supponendo che io già non sappia quale sia).

 

Per mantenere uno spazio per qualcuno che sta affrontando qualcosa, potrei condurre la conversazione con un “Guardando da fuori, mi sembra che…” o “Non sono te, non sono io quello che sta vivendo questo. Ma…”. Secondo me, segnala all’ altra persona che sono consapevole che Potrei Non Sapere Di Cosa Cavolo Stia Parlando. Ma la Sto Ascoltando. Ho Ascoltato. È un gesto di umiltà. Anche di rispetto. Le persone in genere rispondono positivamente. Una volta chiarito che non sto cercando di dirottare il loro turbamento, che non sto supponendo che io sia l’esperto, che non sto dicendo la mia contro la loro volontà, le persone in genere sono aperte a ciò che ho da offrire. §

 

Anche se siamo d’accordo e Io Ho Ragione, potrebbe essere utile praticare comprensione/compassione verso quel collega impegnativo. Il mondo è pieno di teste di c-zzo. (Scusate – “Esseri Umani che State Attraversando Un Momento Difficile”).

 

In genere, lascio che le persone alle quali tengo si ripetano. Quello che mi dico, quando si lanciano in una storia che ho già sentito prima, è che stanno Elaborando Qualcosa Attraverso la Ripetizione. Un mio amico, dopo decenni di Non Parlare Su Qualcosa Che Gli Era Successo, dopo decenni di tenere un trauma personale in una scatola su uno scaffale sul retro, iniziò a raccontare la storia del suo trauma, di nuovo e di nuovo (e di nuovo). Stava tessendo, credevo, un filo precedentemente compartimentalizzato, nel tessuto più ampio della sua vita. Ho deciso di dargli spazio. Fino a un certo punto. Quando questa storia raccontata ciclicamente, alla fine ha intaccato i miei problemi, ho detto, “No, basta. Non oggi. Scusami”. E sono stato male per questo. E (è un “e/anche”) avevo bisogno di pensare anche a me stesso.

 

Nota: C’è una differenza tra Elaborare Qualcosa Tramite la Ripetizione e Lagnarsi Di Quella Cosa. Manterrò un certo spazio per quest’ultima. Lo facciamo tutti. Se comunque, alla fine concludo che quel qualcuno non ha nessuna intenzione di affrontare la fonte del suo piagnisteo, e/o si sta semplicemente divertendo ad avere un pubblico per le sue lagne, dirò la mia. Sarò pronto per la “correzione”. A prescindere che lui l’abbia richiesta o meno. “Questo è ciò che dovresti fare”. E continuerò ad essere pronto. Finche’ imparerà a evitare quell’argomento in mia presenza.

 

  • Sei aperto alla mia opinione?” È un altro strumento preso in prestito dal mio lavoro con gli uomini (n.d.T. “del Mankind project”). Parlando in generale, quando si è seduti in cerchio con i fratelli, il dare consigli è proibito. Se ho un commento dal quale penso che un altro uomo potrebbe trarne beneficio, prima gli chiedo se è “aperto alla mia opinione”. La risposta potrebbe essere “No”. Il che non significa che Adesso È Il Mio Turno Di Essere Sconvolto. Ricordo a me stesso che non si tratta di me, si tratta di un altro uomo, di permettergli di guidare la conversazione intorno al suo turbamento. Se insisto sulla “correzione” (Siamo onesti – l’impulso potrebbe essere molto forte), questo è ciò che dovrebbe essere sorretto.

 

Quanto sopra non è “la verità”. È la mia verità. O meglio, la mia verità del momento. Dalla quale mi riservo lo spazio/il permesso di evolvermi in ogni momento.

 

2 Risposte a “Mailbag 7.3 – Venerdì 1 giugno 2018”

  1. Went scrivi divinamente, dovresti farlo…
    Sono rimasta letteralmente a bocca aperta (sopratutto per le risate) con queste domande/risposte.
    Went e’ profondo come nessuno, ironico come nessuno,simpatico come nessuno.
    Dice che la dolcezza non è tra le prime venti delle sue caratteristiche, ma non è vero per me.
    Ora che è libero , (finalmente!) sceglie ciò che vuole, sceglie chi vuole vicino , ha scelto la vita.
    la dolcezza sta nel suggerire come fare per stargli vicino.
    Dire che è un uomo adorabile mi sembra molto riduttivo.

    1. Sono d’accordo con te. Non è questione di essere “dolce”, come spiega lui in questa mailbag, si riferisce a una vasta gamma di suoi modi di essere e sentirsi, che a volte non sono per niente dolci. Molte persone, su facebook, sotto i suoi post, tendevano a dire “ti amo quanto sei dolce e carino”. Era come se stessero parlando con un orsacchiotto di pezza, senza invece sapere che il più delle volte, esattamente come me e te, lui è arrabbiato, acido, intrattabile, furioso. Sa anche essere simpatico, sarcastico, ironico, giocherellone, accondiscendente, gentile. Questo non si gnifica che lui non sia adorabile. Questo significa solo che come qualsiasi esser eumano, ha le sue giornate nere, dove è meglio non parlargli e le sue giornate in cui, se sei una persona che lui ama davvero, sa essere dolce e affettuoso. Credo che quello che stava cercando di dirci è che la sua dolcessa, la riserva a persone realmente vicino a lui. come tutti noi. Credo solo che bisogna ricordarsi di non confondere un essere umano con tutte le sue sfumature, con un personaggio tv.

      Grazie di cuore per il tuo commento.
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