Lover’s Kiss and The Stairs (brevi racconti) Written by Wentworth Miller (’86-’89)

Traduzioni a cura di Miria

Durante il periodo in cui Wenty ha frequentato le scuole superiori, la scuola ha sollecitato gli alunni a scrivere brevi racconti per il corso del Dipartimento di Inglese. Il corso prevedeva la preparazione degli studenti che vogliono frequentare il college, per il dipartimento di letteratura.

Ci è stato possibile negli anni riuscire a reperire solo queste poche pagine (storie conclusive scritte interamente da Wentworth Miller) in una pessima qualità scan. Si presuppone che questi racconti siano stati scritti negli anni tra il 1986 e il 1989.   


  


Charley Harper Gallery
Ladybug Lovers Serigraph

 

A Lover’s Kiss (Bacio di  un amante)

Written by Wentworth Miller III


Erano le 11.15 di sabato sera.
Nei nascondigli oscuri di un piccolo caffè un uomo ed una donna si guardavano a vicenda.
Paul indossava un abito nero. Una giacca di pelle ed una sciarpa marittima bianca, erano dagiate sul sedile imbottito bordeaux, affianco a lui. I suoi capelli castani erano raccolti in maniera sbarazzina se pur riposti accuratamente. I muscoli dall’aspetto sano si dispiegavano delicatamente mentre mescolava il caffè.
Di tanto in tanto lanciava qualche occhiata alla donna che era dall’altra parte della sala, per osservare se lei avrebbe ricambiato l’occhiata.
Devora accudiva il suo tè. Era vestita con dei pantaloni color kaki e un maglioncino Royal viola. Si scostò i biondi capelli dalla fronte fingendo di non aver notato che ricadevano alla loro posizione iniziale. Lasciando cadere il giornale dalla sua mano sul tavolo, diede una sbirciata all’uomo seduto dall’altra parte della sala.
Perfetto.
Gli occhi di Paul e Devora si incontrarono e si fermarono per un istante. Allora ognuno dei due distolse lo sguardo. Utilizzando il caffè che si era rovesciato dal bordo della tazzina, Paul tracciò dei cerchi con il dito sul tavolo.
Preda facile.
Devora toccò con un dito le foglie di una pianta Spider* che pendeva dal soffitto sopra di lei. (*ndt: Falangio)
Dovrebbe essere semplice.
Si beccarono a guardarsi ancora reciprocamente. Passò un secondo… due secondi… tre… quattro. Lei abbassò lo sguardo. Si concentrò su una crepa sul muro.
Ci stiamo mettendo troppo.
Paul si spostò sul sedile.
Ho perso il mio tocco?
Devora accavallò le gambe.
Non ho possibilità.
Un altro scambio di sguardi fu scambiato attraverso la sala. Paul fece l’occhiolino. Devora si alzò goffamente dal tavolo, quasi inciampando, ed entrò nella toilette delle donne. Il sudore le brillava sulla fronte. Paul appoggiò la testa sul suo pugno. Sospirò ad alta voce e profondamente.
Non preoccuparti! Dobbiamo solo iniziare a parlare.
Devora controllò il trucco e i capelli nel lurido specchio del bagno.
Calmati. Non mandare tutto all’aria.
Paul si spruzzò in bocca del Binaca*. (colluttorio spray)
Comincia a parlarci, andiamo via insieme… e poi…
Devora tornò al suo tavolo e si sedette. Lui bevve il suo caffè e fece finta di guardare fuori dalla finestra. Lei tolse meticolosamente la polvere dal suo bicchiere con un fazzoletto.
“Ciao,” disse lui dall’altra parte della sala.
“Ciao” restituì lei.
“Sono Paul”
“Sono Devora, Sei qui da solo?”
“Non più..”
Conversazione.
“Ti andrebbe di fare compagnia ad un uomo solo?”
“OK.” Devora raccolse le sue cose e scivolò sul divanetto di Paul.
I loro piedi si toccarono sotto al tavolo.
“Ti posso offrire da bere?” chiese lui. Lei gli sfiorò la mano con la punta delle dita e sorrise.
Sei mia ora.
Parlarono del mondo, del loro passato, e delle loro esperienze.
Lei parlò di un viaggio in Francia. Lui voleva visitare le Filippine. Lui disse che gli piaceva la torta al caffè. Lei preferiva la “Foresta nera”. La chiacchiere proseguivano.
L’orologio nel piccolo caffè, aveva battuto la mezzanotte.
Una notte di piacere senza alcun legame.
Paul controllò il suo orologio, Devora sistemò i bracciali d’argento attorno al suo polso. Lui la guardò dritta negli occhi e le disse:
“Passa la notte con me”.
Si accordarono per andare a casa di Devora.
Bene. Preferisco così.
Si alzarono, si misero le giacche, saldarono i conti, lasciarono la mancia e se ne andarono.
Sì.
Camminarono per le strade della città. Nessuno dei due parlò.
Non c’era stata nessuna conversazione durante il viaggio sul treno che portava da Devora.
I due si erano seduti in posti vicini. Lei si guardava le unghie. Lui pensava alla notte che lo attendeva. Una donna rugosa che sedeva di fronte a loro pensava che fosse strano che sedessero così vicino in una metropolitana così vuota senza parlare. I mattoni sporchi del tunnel balenavano da fuori le finestre. Il treno si fermò e le porte si aprirono.
“Ci siamo” disse Devora, conducendo Paul. Entrambi scesero e presero le scale.
Hee, hee, hee.
Nella penombra del suo condominio Devora frugò nelle sue tasche per cercare le chiavi.
“Sbrigati” disse lui con insistenza.
Così vicini adesso.
“Le ho tra un attimo” disse lei. Devora e Paul si scambiarono alcuni sorrisi di anticipazione. Lei mise le chiavi nella serratura, le girò e aprì la porta. Paul la spinse dentro, dando uno sguardo rapido lungo il corridoio in entrambe le direzioni. Devora chiuse la porta dell’appartamento ma non accese le luci.
“Mi pace così” mormorò Devora.
“Perfetto” disse lui.
Mi piace al buio.
Lui le baciò voracemente il collo arcuato. Poi, la sua mascella si “spalancò”, la guardò negli occhi. Lei estrasse un coltello affilato dalla tasca del suo cappotto.
Buona notte, dolce principe.

Lo afferrò per la nuca e con l’altra mano affondò il coltello in gola. Il coltello emise un suono di affettata ricca e lussuriosa. Lui cadde a terra, spalancando gli occhi per l’orrore e sorpresa. Del sangue caldo color porpora schizzava fuori dalle sue dita lasciando una pozza sul pavimento.
Devora si inginocchiò su di lui e baciò le labbra, macchiate di sangue, dell’uomo morto. Poi si accovacciò sul tappeto a fianco al cadavere di Paul e si addormentò.



ARTWORK BY: Charley Harper – Plain an Fancy – Merganser Ducks

 

Traduzione a cura di Miria

The Stairs – (Le Scale)

Written by Wentworth Miller III

“La Principessa Aurora correva attraverso la verde campagna umida di rugiada, le braccia distese pronte a ricevere il suo bel Principe Azzurro che correva verso di lei. Lunghe ciocche di capelli biondi le ondeggiavano all’indietro, il vestito di seta le fluttuava intorno ai suoi delicati piedi in corsa. Aurora era la visione della bellezza mentre si avvicinava al suo vero amore che era stato lontano da lei tanto a lungo.
Il suo viso era emozionato ed i suoi occhi erano blu scintillati come il mare, o almeno fino a quando, ovviamente, inciampò e cadde con la faccia in un fosso di fango schizzandosi il vestito ed i capelli con della colante melma. Il Principe era disgustato…”

“Che diavolo è questa roba?” chiese Troy strappandomi la storia dalle mani. Tre anni più vecchio di me, Troy si affrettò ad affermare la sua prerogativa di fratello maggiore.
“Troy, dammi la mia storia” dissi con calma. Sapevo che arrabbiarsi non avrebbe fermato Troy, si sarebbe divertito solo di più.
“Vuoi la tua storia, John?”
“Si”.
“Bene, eccola. Prenditela” disse Troy stracciando tre ore della mia fatica, e la gettò a terra lasciando la stanza.
Raccogliendo i coriandoli della mia storia rovinata e sparsa sul tappeto, trattenni un grido di rabbia. Irritato con me stesso per non essere immune alle buffonate di Troy dopo tutti questi anni, scostai i miei sudati capelli castani dalla fronte e mi trascinai al piano di sotto.
Mentre percorrevo le scale della mia casa rivestite di pannelli, incrociavo numerosi oggetti di antiquariato, ognuna delle quali avrebbe potuto avere accanto un cartellino che diceva:             

“NON TOCCARE… Questa era della bis-bis-nonna…” oppure “NON TOCCARE… Questo è importato dall’India…”. Candele di cera, servizi di porcellana, antichi libri e tappeti orientali, riempivano ogni stanza. E ovviamente, c’erano le Anatre Selvatiche (Germani Reali). Le anatre erano ovunque: sui tappeti, dipinti, lampade e ceste. Ovunque si guardasse c’era un’anatra in semivolo o accocolata tra le canne in riva a un lago.
Il fulcro della casa era il piano principale, quella su cui mi era proibito camminarci sopra. Era fatto di quercia rovere lucidato e si estendeva giù per due piani, dal balcone del secondo piano al salotto.
I passaggi delle scale erano stati forgiati in modo che ogni gradino fosse solo un’asse senza supporto, sorretto solamente dal muro. Se ti fossi fermato in piedi sotto le scale, avresti potuto vedere i piedi delle persone attraverso le fessure dei gradini mentre salivano e scendevano.
Mio Padre diceva che ci camminavo su come un elefante e che per il bene dei timpani di tutti, avrei dovuto limitarmi alle scale inferiori. Entrando in cucina, stanai Stella, la mia sorella undicenne, (o come la chiamavo io “La Tentatrice”), che si stava preparando una pop-tart. Tenendo un piatto in una mano iniziò a cantare una delle canzoni che gli sono valse il suo soprannome. Sbattendo gli occhi e scansando i ricci, rossi come un camion dei pompieri, si appoggiò contro il muro sventolandomi una gamba grassoccia mentre cantava
”I’ve got a crush on youuuu, sweetie pieeee
All the day and nighttime, here me sighhhh,
‘Cause I’ve got a cru-uh-ush,
My baby onnnnnn youuuuu.” *

(*ndt: la strofa è tratta da una canzone di Frank Sinatra)

E strizzandomi l’occhio, se ne andò con il suo boa di piume rosa arrotolato intorno al collo.
Entrò mio Padre.
“Ciao John. Troy! Sbrigati o saremo in ritardo per la tua lezione di tennis!” Urlò.
I suoi passi percorsero la scala principale e apparve Troy, i ricci biondi in movimento e la roteante racchetta da tennis in mano.
“Figliolo, non conquisteremo mai la junior division quest’anno se non sarai sul campo tutti i giorni. Conto su di te per portare a casa l’oro!” gli disse mio Padre.
“Certo papà!”. Disse Troy. Poi si rivolse a me “Peccato, che tu sia scoordinato John; avresti potuto fare carriera come mio raccattapalle quando sarò famoso”.  
“Papà, Troy ha distrutto la mia storia!”
“Davvero John, non ho tempo ora per occuparmi di queste cose. Sono sicuro che Troy non voleva farti un torto di proposito. Andiamo Troy”.
“Oh Reggie!” Era mia madre di ritorno dal centro civico. “Dio, non crederai mai che giornata ho avuto. Ho bisogno di parlare con una persona sana di mente”. Si versò del brandy. “Non hai assolutamente idea cosa significhi avere a che fare con certe persone” disse scuotendo il suo bicchiere a mio padre. “Ho trattato, al telefono, due casi di suicidio! Questo è stato un giorno pessimo per i miei nervi!”
Mia madre è un’assistente sociale volontaria, un giorno ogni due settimane. Si siede dietro una scrivania e si occupa dei problemi della gente al telefono. Posando il suo drink, mia madre pizzicò mio padre sulla guancia, scompigliò i riccioli di Troy e disse.
“Ciao John, dov’è tua sorella?”
“In giro”. Serrai i pugni ai miei fianchi. “Mamma” – dissi – “Troy ha stracciato la mia storia. L’avevo scritta come compito per casa”
“Troy, come hai potuto? Reggie, dopo aver accompagnato Stella alla sua lezione di canto, penso che verrò con te a guardare Troy giocare, così posso rilassare i nervi. Vuoi venire John?”
“No.”
“Stella!” la chiamò “Vieni qui!”
Tutti e quattro erano quasi fuori di casa, davanti alla porta, quando li fermai. “Quando punirete Troy per aver stracciato la mia storia?” urlai. Si girarono verso di me guardandomi con un espressione totalmente vuota. “Dove state andando invece di ascoltarmi? Non vi interessa?”.
Troy ridacchiò, mamma impallidì e papà venne verso di me. La tentatrice tenne lo sguardo fisso sul pavimento.
“John, sei un egoista e maleducato. Scusati con tua madre e me immediatamente”, mormorò mio Padre.
“Perché dovrei? Non ho fatto niente di male! Andate all’INFERNO entrambi!”
WHACK! La mia testa cominciò a vacillare. La stanza girava impazzita e io mi ritrovai sdraiato sulla schiena.
Mio padre rimase in piedi sopra di me sfregandosi la mano. “Non devi mai, e poi MAI, insultare me e tua madre ancora così, ragazzino! Sai come sono fragili i nervi di tua madre!”
Mamma a quel punto, piagnucolava in sottofondo. Troy mise il suo braccio attorno a lei in maniera protettiva.
“Vai in camera tua” – disse mio padre – “ne discutiamo dopo”.
E mentre salivo le scale inferiori loro uscirono dalla porta d‘ingresso. La tentatrice cantava “ Hey big spend-uh! Bump, bump ba-dah! Spennnd a little time with meee…”

Più tardi li sentii rientrare. Troy salì nella mia stanza a chiamarmi per una “discussione di famiglia”. Non trovandomi ovviamente, Troy tornò lentamente giù per le scale principali.  
“Dov’è quel pappamolle?” bisbigliò. Lo sentii soltanto io, dalla posizione dove mi trovavo, sotto le scale.
“Mamma!” Troy chiamò. Iniziò a tuonare giù per le scale, con passo svelto sopra la mia testa. Quando vidi la parte posteriore dei suoi piedi che correvano, la mia mano sbucò fuori attraverso una delle fessure e afferrai la sua caviglia. Troy balzò in avanti, perdendo immediatamente l’equilibrio e precipitò giù per le scale.
Urlava appallotolato, sul tappeto con il Germano Reale, nel salotto ai piedi delle scale.
Mio padre, mia madre e Stella entrarono di corsa nella stanza. Videro Troy gemere sul pavimento e dopo videro me, mentre uscivo da sotto la scale.
“Oh mio Dio!… OH MIO DIO! I miei nervi, i miei nervi!” piagnucolava mia madre.
Fissammo tutti la gamba di Troy che si era gonfiata e piegata in maniera innaturale. Poi loro mi guardarono a bocca spalancata. Ed io risi, risi, risi…