Mailbag – THE DISAPPOINTMENTS ROOM (Original Screenplay)

WENTWORTH MILLER • DOMENICA 29 GENNAIO 2017


Nota: THE DISAPPOINTMENTS ROOM [TDR] è finzione. Aperta ad interpretazione. Una volta che l’ho tolto di mezzo dalla mia scrivania, come un piccolo uccellino fuori dal nido, ho abbandonato il controllo della storia.
Se mai ho dovuto iniziare a farlo.
Seguiranno SPOILER sullo script/film.

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D: Ciao Wentworth, hai scritto la sceneggiatura ma da dove proviene la storia?
R: Nel 2010 ero a casa a guardare un episodio della HGTV “Se i muri potessero parlare”, normalmente un allegro reality show su vecchie case con caratteristiche inusuali, come una rivendita nascosta di alcolici illegali in cantina. Ma le cose si sono fatte tetre quando hanno visitato una casa in Rhode Island con una strana stanza in soffitta. Intrigato, mi sono messo in contatto con “L”, la donna che possedeva la casa…
(non penso che a lei darebbe fastidio se usassi il suo vero nome, ma sbaglierò trattandola con discrezione.)
All’inizio del 2011 sono stato ad Est per un funerale e mi sono ritrovato giusto sulla strada della casa di L. Ho preso un appuntamento per una visita e lei è stata così gentile da mostrarmi la stanza in soffitta e a raccontarmi la sua storia di persona…
Quando L ha comprato la casa aveva pianificato di trasformare la piccola stanza in uno studio per la musica. Ma le sue caratteristiche curiose – una porta che era chiusa dall’esterno, un pavimento di metallo con un tubo di scarico – l’hanno costretta a prendersi una pausa. Un giorno era nella biblioteca locale, descrivendo la stanza ad un amico, quando una signora anziana li ha ascoltati. Le disse “Mia cara… Sembra che tu abbia una ‘stanza delle delusioni’.” Spiegò che c’era stato un tempo, non molto tempo prima, quando i bambini nati con disabilità erano considerati imbarazzanti. “Delusioni”. Specialmente se la famiglia era illustre. Questi bambini erano tenuti segreti e passavano le loro vite nascosti dalla vista altrui, la loro esistenza era nota solo a pochi. Quando morivano, venivano seppelliti quanto più discretamente possibile…
L ha iniziato a fare delle ricerche sulla casa e sui suoi precedenti inquilini e ha scoperto che un rispettato giudice e sua moglie hanno vissuto lì attorno all’inizio del 1900. Non c’erano bambini registrati nella loro famiglia. Tuttavia, quando L ha visitato le loro tombe nel cimitero della città, ha scoperto una piccola targa per “Ruthie”, una bambina che è morta a 5 o 6 anni. L ha pensato (e credo ad L) che ci fosse una forte possibilità che Ruthie fosse figlia loro, che fosse nata con dei bisogni particolari, e che la stanza in soffitta sia stata messa appunto appositamente per lei. Non c’era una prova definitiva (al tempo), ma la prova circostanziale era difficile da ignorare…
L ha anche condiviso la storia dal momento in cui il suo episodio di “Se I muri potessero parlare” andò in onda per la prima volta in TV, è stata contattata da gente lungo tutto il Paese che dichiarava di vivere in case con stanze identiche o simili, lasciando intendere che questa triste pratica era largamente diffusa al tempo…
Ed è stato seduto nella veranda di L, immaginando la piccola bambina che ha forse passato la sua breve vita chiusa al di sopra delle nostre teste, che una storia basata sulle scoperte di L, iniziò a prendere forma…
Il mio cuore è andato a quella bambina… E la mia mente a quelli che, scegliendo di tenere prigioniero sangue del proprio sangue nelle loro stesse case, hanno imprigionato allo stesso tempo anche loro stessi…
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D: Non posso fare a meno di notare che il personaggio rinchiuso mi ricorda Bertha, la donna imprigionata in soffitta con tutti i suoi doveri e convenzioni sociali, in Jane Eyre – oh, il concetto della soffitta come un posto in cui nascondere il marchio e la vergogna… Credo che avrai l’opportunità e il permesso di pubblicare la tua bozza della sceneggiatura così tutti potranno comprendere… Quanto questa storia ha preso in prestito dalla tua esperienza di vita reale? O quanto la tua famiglia – con i suoi problemi – ha influenzato la stesura di questa storia?
R: Il riferimento a Jane Eyre è azzeccato. Anche “Carta da Parati Gialla”. Ho scritto la mia tesi al college su entrambi i testi (in aggiunta al Il Grande Mare dei Sargassi, che reimmagina la storia di Bertha) e mi hanno fornito ispirazione per TDR.
La mia tesi si incentrava su come siamo condizionati a nascondere alcune parti di noi stessi, e i personaggi condannati alla soffitta in Jane Eyre e “Carta da Parati Gialla” sono stati creati per personificare queste parti, riflettendo le paure nascoste, i desideri e i peccati dei succitati. I personaggi in soffitta servono anche come una minaccia a questi. “Questo è quello che accade quando rifiuti i ruoli dettati dalla classe, genere, sessualità, razza e luogo.” (Non è un concetto nuovo. Ma come un giovane uomo gay rimasto nel segreto in un campus di un college conservatore, mi ha attratto.)
La storia di Dana è incentrata sul risolvere il mistero della stanza in soffitta ma è anche portare alla luce (così da poterne parlare) il suo stesso mistero. E la storia. Esplorando in modo figurato la stanza in soffitta dove sono tenute le sue delusioni personali. E con questo intendo il suo cuore.
La fine del film suggerisce (più di tutto il resto) che attraverso lenti tradizionali, patriarcali (che non è quello a cui avevo pensato o formulato io quando ho scritto questo 6 anni fa, ma è quello di cui ho parlato), la stessa Dana è la delusione. (Non sono d’accordo con questo giudizio. Ma è un punto di vista personale. Non come narratore.)
Tornando all’idea di una stanza delle delusioni interna. E’ uno degli elementi che mi ha portato a questa storia. Perchè credo che tutti ne abbiamo una. Una stanza nella quale teniamo le parti che pensiamo (o che ci hanno fatto credere che sia così) siano disonorevoli. Che non valga la pena condividerle. O amarle.
E’ un concetto a cui potrei e a cui posso ancora relazionarmi. Sono cresciuto con delle chiare aspettative di quello che poteva essere accettabile per un figlio/studente/uomo. Ho fatto quello che ho potuto per sistemare/azzittire/ cancellare quello che non lo era. Il mio viaggio come adulto sembra stia riscoprendo, rivendicando, amando quelle parti abbandonate. O quello che ne resta. (Il mio accento di Brooklyn, ho paura che se ne sia andato per una buona ragione. Ad eccezione dell’occasionale ‘A’ dura.)
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D: Cosa significa davvero “Basato su fatti realmente accaduti”?
R: Bella domanda. Da quello che ho letto online, “Basato su fatti realmente accaduti” o “Basato su una storia vera” significa che quello che stai per guardare è basato su qualcosa che effettivamente è accaduta. Suggerisce un grado di verità narrative. Questo è il motivo per cui lo script originale non dice questo.
“Ispirato da” significa che la storia non è vera ma è ispirata da qualcosa che è successo. Dana e David non sono mai esistiti, ma la loro storia viene fuori da una mia visita a Rhode Island, dalle indagini di L e la possibilità che la sua stanza in soffitta fosse stata usata per un particolare e sinistro scopo.
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D: Hai usato una playlist di canzone/musica mentre scrivevi lo script come hai fatto per Stoker (Philip Glass)?
R: Si. La musica è fondamentale quando scrivo. Crea l’atmosfera. E aiuta a mantenerla. Una volta che hai messo insieme una “colonna sonora” che ti faccia entrare nello spirito di quello su cui stai lavorando, la metterai in continuazione ogni volta che ti siedi per scrivere.
La mia soundtrack per TDR era “TRON: Legacy” dei Daft Punk (almeno le prime 2 tracce). Se ascolti la traccia 7 (“Rinzler”), per esempio, è il tipo di intensità che provavo quando ho scritto della discesa dalla soffitta di Dana verso il cortile sul retro a pg. 69.
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D: Com’è andato il processo di scrittura in maniera differente/uguale, rispetto agli altri pezzi che hai scritto?
R: Ora che scrivo da un po’ (sceneggiature, saggi personali, ecc), ho notato che la mia voce narrante cambia in base a quello che cerco di trasmettere. C’è una differenza tra “me” in “Drive-thru” e il “me” in “Into Practice.” Per esempio. E questo è doppiamente vero nei miei script. E’ come se avessi dei narratori multipli (personaggi) dentro di me e vogliono tutti avere il loro turno al microfono.
La voce narrante in STOKER e UNCLE CHARLIE [UC] è risultata distante. Fredda. TDR evoca/richiede un’altra voce. Più muscolare. Fisica. E che fa sudare. Per adattarsi meglio all’azione (e possibilmente a Dana.)
Se c’è qualcosa che resta in tutti e 3, è la mia attrazione al dark humor. Ci sono momenti in TDR che mi fanno ridere. Ad oggi. Cosa che probabilmente risale al modo in cui sono stato cresciuto. Se i Miller avessero un motto di famiglia, sarebbe “Ridi O Vai ad Urlare nelle Foreste.” Consiglio che mi è stato di aiuto. Specialmente dallo scorso Novembre.
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D: Inizi spesso con la fine per poi tornare a ritroso o inizi il processo e lasci che gli avvenimenti cambino la tua prospettiva e come ti piacerebbe vedere la storia che si svolge?
R: Varia. UC è iniziato con un singolo seme. Ho scritto STOKER per primo, quindi sapevo che zio Charlie aveva preso delle lezioni di cucina a Wrenfield. Il resto è cresciuto da lì in cerchi concentrici.
Con TDR, sapevo che Dana era condannata alla soffitta ma la domanda era come? E sarebbe “appartenuta” a quel posto o sarebbe stata un’innocente? Quindi penso di aver deciso per un finale e poi di aver lavorato a ritroso.
Quando ho scritto TDR ero abbastanza certo che UC non sarebbe mai diventato un film. Quindi non mi sono preoccupato di inserire uno o due elementi da riutilizzare alla fine di TDR. (uncle Charlie è David allo stesso modo in cui il Dr. Walker è Dana… il Dr. Walker è uno dei più tremendi avversari di Uncle Charlie, Dana è lo stesso per David… Quando il Dr. Walker e Dana sono sopraffatti, sono trattati allo stesso modo, analogamente con un certo grado di perversa “cura” ecc.)
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D: Quanto è differente il film dalla sceneggiatura?
R: Non lo so perché non l’ho ancora visto. Ma credo che la risposta sia “un sacco.”
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D: Quando vendi una sceneggiatura e metti il tuo lavoro nelle mani di qualcun’altro hai poi difficoltà quando sviluppano una scena in maniera differente da come l’hai immaginata nel momento in cui la stavi scrivendo?
R: L’ho già detto in precedenza, ma mi sembra di avere due scelte quando si arriva al risultato creativo finale: chiuderlo in un cassetto così resterà sacro e intatto e nessuno avrà questa esperienza, o arrendersi al mondo e permettere ad altra gente di metterci su le mani.
Da attore, il mio lavoro è quello di presentarmi sul set e fare delle scelte. Poi altra gente (molta della quale non incontrerò mai) seleziona e sceglie quali pezzi e parti vogliono modificare insieme. Questo è quello che và sullo schermo. Quindi in un certo senso, nessuno ha mai visto il mio “Michael Scofield.” Non nella sua interezza. Quello che hanno visto sono le mie scelte filtrate attraverso l’idea del regista di “Michael Scofield.” Ma anche degli editori, produttori e tutta la Fox Television.
Abituare la mia mente a quest’idea è stato un buon esercizio per quando ho iniziato a scrivere sceneggiature.
Come STOKER, il mio coinvolgimento con TDR è finito con la vendita della prima stesura. Quando ho sentito che stavano per riscriverlo ho detto, “Okay.” Quando ho sentito che volevano renderlo più di “genere” (ovvero più tipo un film horror) ero tipo “Và bene.” Quando ho sentito che avrebbero aggiunto “effetti spaventosi” ho pensato, “Capito.” E quando mi hanno chiesto di condividere i credits da sceneggiatore ho detto, “Assolutamente.”
E’ un processo di collaborazione e devi essere d’accordo con questo. O tenerlo nel cassetto.
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D: Le critiche non così positive sul film ti danno fastidio?
R: No. Per le ragioni che ho appena sottolineato. E perché – nella visione dell’insieme – TDR mi ha permesso di evolvermi come uomo e scrittore. Questo è molto più importante che una percentuale su rottentomatoes.com.
Questa storia, messa giù su un foglio (elettronico) è stata significativa, una sfida e inaspettatamente un processo terapeutico. Stavo passando un periodo duro a quel tempo. Iniziando ad affrontare chi fossi, quello che ero diventato in più di 35 anni, e non era abbastanza. Se fossi stato un’auto, non sarei riuscito ad andare molto più lontano per strada.
Quando mi sono seduto per scrivere TDR ho pensato che stessi per scrivere un racconto di fantasia. Un drama più o meno thriller con elementi horror e sovrannaturali. Quello che ho scritto è stata una storia a tema pseudo-autobiografico su quello che succede quando tutto quello che hai provato a tenere chiuso in una scatola e avvolto nella plastica, ti ritorna indietro.*
La notte in cui ho spedito TDR al mio agente perché la leggesse… è stata dura. Mi sentivo esposto. Non è la mia storia. Ma la sua energia… il suo spirito… erano qualcosa con cui risuonavo. E’ come scoprire che sei anche tu chiuso in una stanza delle delusioni. E non hai la chiave.
Nella vita reale, è finita, ce l’ho fatta. Per me, è sembrato come studiare rigorosamente i modi in cui mi sentivo (o come mi hanno fatto sentire) come una delusione. E venirne a capo.
Dal punto di vista dello scrivere/condividere TDR (e la sceneggiatura a seg

uito) è stato il mio lavoro con il MKP, fare coming out pubblicamente, iniziare questa pagina FB, ritornare a recitare, lasciare una città che ho scoperto essere alienante e inospitale… Tutte cose radicali, eventi di vita e cambiamenti di identità.
Non c’è negazione nel potere trasformativo dell’arte e dell’espressione di sé. Anche se il risultato è giudicato come “produttivo” per uno sconosciuto è – deve essere – considerato una nota a piè di pagina.
*TDR è, in qualche modo, come pagine strappate dal mio giornale della sanità mentale. Detto questo, i lettori non dovrebbero supporre che io sia uno dei personaggi. Sono alcuni di loro. 😉
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D: Sono relativamente sensibile a certi generi di film (sebbene sia contento di vedere questo) e a volte mi sento giù dopo aver visto alcuni thriller. La mia domanda è: in che maniera superi questa cosa? In che maniera combatti contro un brutto pensiero / umore nero mentre scrivi una sceneggiatura tetra? O non puoi combattere con una cosa del genere?… Non hai paura di avere un umore più cupo o una depressione più profonda dopo? Perché non c’è niente di positivo. O forse ti aiuta in qualche maniera?
R: Se chiedessi di tenermi gli occhi addosso in continuazione passerei tutto il giorno a lucidare e a nascondermi dietro dei bei schermi, sono solitamente tipo, “Passo.” Il mio “io superiore” lo sa. E’ intelligente. Quindi invece di invitarmi a sedermi alla scrivania, mi tira fuori i miei snack preferiti e aspetta che io divaghi e inizi a mangiucchiare. “Hey! Scriviamo una storia horror basata su una cosa che hai visto in TV! Sarà divertente!” Io: “Okay!”
Taglio su una Tetra Notte Dell’Anima…
La mia salute mentale ha sofferto quando ho scritto TDR, e passare del tempo su questo materiale ha peggiorato le cose prima che migliorassero. E’ stato catartico, ma non lo consiglio. Sempre se non hai il giusto supporto a portata di mano. Un terapista, un gruppo, un posto di lavoro, impegni improrogabili che ti potrebbero distogliere da quello stato mentale, altre pentole nella cucina della creatività per tenere le cose bilanciate e varie, una routine di self-care…
In altre parole, tutte le cose che non ho.
Sono profondamente grato per TDR (e per ogni altro script che ho scritto). Sceglierei mai di affrontare di nuovo tutto questo? Diciamo solo che il mio io superiore non ha lasciato tutto nelle mie mani.
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D: La mia domanda è, perché è stato considerato un thriller? Secondo me sarebbe stato meglio e molto più ben accolto se fosse stato considerato un film drammatico.
R: Non lo sapremo mai.
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D: Perché in Stoker/Uncle Charlie la figura maschile è attraente ma allo stesso tempo è l’oscurità, la morte, e in The Disappointments Room gli uomini sono completamente inutili? Vedi le donne più forti rispetto agli uomini?
R: Se vedo le donne come esseri “più forti degli uomini?” Dipende. Dalla donna. E dall’uomo. Penso che Dana sia terribilmente forte. La persona più forte sullo schermo. Una guerriera. Ma questo non significa che “vince”. Anche David è un guerriero. A quanto pare.
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D: Quale parte della sceneggiatura o della storia cambieresti se avessi la possibilità di riscriverla?
R: Non penso che questa – e con “questa” intendo la sceneggiatura, i suoi tempi e sviluppo, il risultato finale – si potesse manifestare in un’altra maniera. E provo a non passare il mio tempo sperando che le cose possano andare diversamente. Credo sia tempo perso.
E – e questo è un o “entrambe le cose/e” e non un “questo/oppure” – Avrei voluto che il film fosse servito come un trampolino di lancio per una conversazione più seria su quello che è stato fatto, storicamente, a questi bambini. Queste cosiddette “delusioni”. Il modo in cui abbiamo trattato – e in molti modi ancora trattiamo – quelli diversi o diversamente abili è qualcosa su cui dovremmo porre l’attenzione.
Se c’era l’opportunità per TDR di facilitare questa discussione, è stata praticamente persa.
Mi dispiace per questo.


Traduzione a cura di Kiara.

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