Spatial Awareness

Nota originale QUI – 7 giugno 2018 – scritta da Wentworth Miller

CONSAPEVOLEZZA DEGLI SPAZI – Traduzione a cura di KIARA DESA 

C’era una serie di post, chiamata #fridayjukebox, che è stata in attività su questa pagina per 3 anni.

Ogni settimana sceglievo una canzone, la postavo venerdì mattina, poi altre persone aggiungevano le loro scelte.

Era popolare. La gente sembrava divertirsi.

Settimana dopo settimana c’erano commenti sulle canzoni che avevo selezionato. Si potrebbero chiamare osservazioni. Si potrebbero chiamare anche giudizi. Se sceglievo qualcosa dance, stavo bene. Se sceglievo qualcosa di lento, ero pensieroso. Se sceglievo qualcosa di triste mi sentivo triste. E così via. L’idea sembrava essere quella, come un anello cambia colore, la canzone che avevo scelto rifletteva come mi sentivo in quel momento.

Posso vederci una logica in questo. Al 100%.

Ma non è vero.

Per un paio di volte in 3 anni, sì, era vero. Perché quel venerdì era un giorno di festa o perché c’era qualcosa di importante che doveva essere ricordato (come l’11 settembre). In quei giorni, sì, ho postato una canzone specifica per il (mio) umore influenzato dalla circostanza.

In caso contrario, le canzoni che ho pubblicato erano in genere programmate (o pre-programmate) in qualunque posto con 2 – 8 settimane di anticipo.

Mi sono piaciute/ho amato tutte quelle canzoni. E (è un “entrambi/e”) di solito non avevano alcuna relazione con il mio stato mentale/emotivo/spirituale al momento della pubblicazione.*

Perché ho pianificato le canzoni con tanto anticipo? Perché avevo preso un impegno, per me stesso, per essere aperto a tutti. Su questa pagina. Volevo vedere diversi generi sessuali, razze, generi musicali, lingue e paesi rappresentati qui. E questo ha richiesto molta pianificazione (come risulta). Se avessi scoperto di aver programmato per sbaglio canzoni composte da uomini bianchi eterosessuali per 2 settimane di seguito, ne avrei riprogrammato una.

Sì. E ‘stato calcolato.

Non mi considero “un tipo sveglio”. In effetti, credo di essere “sveglio” quando penso di non esserlo. Ma ho fatto del mio meglio. Al tempo. Ho cercato di fare attenzione.

Comunque, sto condividendo questo per illustrare che cosa può essere la “proiezione”. Cosa può essere, sui social media, il dare per scontato delle cose, sugli estranei.

Non molto tempo fa, avevo l’abitudine di condividere foto/video su Instagram. Le cose che pensavo fossero belle, curiose, provocatorie. O semplicemente carine. Una delle prime condivisioni è stata un frammento di una canzone di Judy Garland, un capolavoro pieno di cuore e angoscia. Bellissima. Valeva la pena condividerlo. Assolutamente.

Poi sono arrivati i commenti. Le persone (alcune persone) pensavano che fosse un grido di aiuto. Che ero arrabbiato. In difficoltà. Sono consapevole che le persone (alcune persone) mi associano a parole come “depressione” e “suicidio”. Sono consapevole del fatto che viviamo in un mondo in cui, in effetti, la gente chiede aiuto sui social media.

Questi commenti, sostenendo/presumendo che fossi turbato, in pericolo, cominciarono a moltiplicarsi, apparendo nella sezione commenti sotto tutto ciò che condividevo. Indipendentemente da cosa fosse.

Altri commentatori hanno cominciato a notarlo. Poi si sono arrabbiati. Iniziato a preoccuparsi. Si chiedevano se stessi bene. Se qualcuno è curioso del perché ho disattivato i commenti su IG, questo è uno dei motivi.

Alcuni Punti di Chiarimento mentre Andiamo Avanti:

  1. a) Sono convinto che ci siano dei sensitivi sui miei social media? Intuitivi? Empatici? Persone con la capacità di leggere i miei stati d’animo come le foglie in fondo a una tazza di tè chai? No. Se ci sono, non lasciano commenti.
  2. b) Se mi trovassi in difficoltà/crisi, sappi che so parlare, ho le risorse e la consapevolezza per ricevere aiuto. Non manderei mai – mai – un SOS ad estranei sui social media tramite Judy Garland o una foto di un cucciolo triste in un campo arido. Tipo, sempre.
  3. c) Quando scrivo di “lottare” o di essere “in difficoltà/crisi” in uno dei miei post, non intendo necessariamente essere un “suicida”. Non soffro (di quello che chiamerei) un episodio depressivo da anni. La depressione non è nelle mie priorità (sono felice di riportarlo). Dopo decenni passati a monopolizzare i riflettori, quella diva tossica è uscita dal palco, permettendo ad altri problemi, precedentemente considerati co-protagonisti, comparse o tizi mai visti prima, perché si erano nascosti dietro le quinte, chiamando le battute, alzando/abbassando il sipario, di spostarsi nel proscenio. Nella luce. E sono fichi. Non pericolosi per la vita. Ma problematici. “Cosa fare quando sei depresso” è un argomento molto serio, molto serio. “Cosa fare quando non si è più depressi” è tutta un’altra cosa. Anche reale. Anche seria. (Maggiori informazioni su questo nei post successivi.)
  4. d) I miei social media continueranno a essere un posto scomodo. Per me, e, a volte, per coloro che scelgono di essere qui (ed è una scelta).

“Fai il tuo lavoro, o il tuo lavoro ti f**terà.”

Questo è il mio motto del momento. Credo che nella vita abbiamo una scelta da fare: possiamo fare il nostro “lavoro” o possiamo scegliere di non fare il nostro lavoro. Con le conseguenze del caso.

Ho scelto di fare il mio lavoro. Ed è sgradevole. Per continuare a scoprire pezzi di me stesso (quelli che posso vedere comunque) voglio evolvermi e trasformarmi. Per diventare Amici Della Tristezza (è così, per tutti voi), esplorare la Rabbia Sana (ed anche questo è così, per tutti voi). E così via.

Questo può essere sgradevole. Molto. Questo lavoro. E può mettere altre persone a disagio. Può rendere scomodi gli spazi (come questo). Ma deve essere fatto. Perché? Perché (credo che) quando scegliamo di non fare il nostro lavoro, di mettere la nostra m-rda in una scatola e di mettere quella scatola su uno scaffale e fingere che non esista, succederanno sicuramente 2 cose:

  1. Quello che abbiamo fatto verrà fuori attraverso un’altra strada. Non esiste una scatola a tenuta stagna. Non quando si tratta della nostra m-rda. Tutte le cose che pensiamo di aver nascosto con successo stanno per uscire, per scivolare sul tappeto e lasciare una macchia. Come contenitori unti dal tuo ristorante d’asporto preferito.
  2. Altre persone finiscono per fare il nostro lavoro per noi. Se non teniamo d’occhio la nostra m-rda, sai chi lo farà? I nostri figli. I nostri partner. Colleghi. Altre persone in autostrada. Saranno quelli che tireranno giù quella scatola, sollevando il coperchio, tipo “Ehi. Cos’è questo?” Una scatola di m-rda. Ecco cos’è.

Ho scelto di fare il mio lavoro in molti posti. Questa pagina è solo uno di questi. E mi riservo questo diritto. Il diritto di condividere – in questo spazio – (alcune delle) cose che sono nella mia mente/cuore. Sgradevoli o no. Per me o per chiunque altro.

Per vostra informazione, ho riso come un matto scrivendo delle abilità di ascolto di altre persone (e delle mie). Ho passato un bel po’ di tempo a scavare, a cercare informazioni, la (mia) verità, l’umorismo. Lo farei di nuovo. Lo farò di nuovo. O qualcosa di simile. Sappiatelo.

Se una qualsiasi delle cose sopraelencate sembra allarmante per te, se non ti senti in linea con quello che sto buttando giù, se questo spazio ti “innesca” in modi non  sani/ingestibili/insostenibili … Ehi … È ok. Cambia canale. Vai altrove. Non mi offenderò. Come, sempre. – W.M.

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*A meno che, casualmente, per coincidenza, una canzone che ho scelto in anticipo riflettesse il mio umore al momento della pubblicazione. In tal caso, avrei potuto/avrei scritto qualcosa come “umore attuale”. (Non ricordo di averlo fatto, ma suppongo sia possibile. 3 anni sono lunghi.)