L’Interiorità è Servita / Inner Is Served

Nota orginale – Inner Is Served wentworth-miller-inner-is-served-shoes

(la foto in copertina è stata scatta e condivisa da Wentworth su Facebook). Le calzature che vedete qui in fotografia sono calzature indossate da Wentworth negli ultimi anni, con cui siamo state abituate a vederlo ritratto in alcune foto di vita quotidiana.


febbraio 2015 ♦ scritto da Wentworth Miller 

L’interiorità è servita.

Il mio bambino interiore ha un sacco da giocare. O dovrei dire “tempo per giocare”.

Questo mi rende felice.

Il modo in cui lo immagino, il mio bambino interiore incarna la mia capacità di meravigliarmi. L’entusiasmo. Il pensiero magico. La speranza. Ci sono volte in cui mi sento come un bambino la mattina di Natale. Precisamente me da bambino. Il me stesso quando aveva 5 anni. E in quel momento mi sento felice.

E come un uomo che velocemente si avvicina alla metà dei suoi 40 anni che è un veterano di brutte esperienze più di una volta (se non quanto l’intero vicinato)so che quella gioia è un sentimento per cui vale la pena aver cura. Da corteggiare. Ad ogni occasione.

Ma, bisogna dire la verità, il mio bambino interione può essere anche un po’ viziato. Testardo. Egoista. Immaturo.

(Dopo tutto, ha solo 5 anni.)

Ci sono volte in cui sento la sua piccola mano allungarsi per prendere il volante, cercando di guidarmi in un capriccio quando la vita non va a modo mio. E in quei momento sto attento a togliere quella piccola mano. Gentilmente ma in modo fermo. Perché i bambini non possono guidare.

Da varie cose che ho letto ci potrebbero essere buoni motivi per cui il mio bambino interione si sente così presente e giustificato della sua presenza. Alcune scuole di pensiero scientifico/spirituale sostengono che c’è solo il “presente”, che il passato e il futuro non esistono realmente. In questo modo qualunque cosa siamo stati – o saremo – è presente nel presente. Quindi può parlare.

Non sono davvero abbastanza paziente/intelligente da capire la maggior parte di quella roba. Ma mi piace la parte essenziale. Mi piace l’idea che l'”io” che ero a 5 anni è in qualche modo/condizione/forma ancora nel tempo presente.

E se questo è vero, non è possibile che il mio io futuro o i miei io siano altrettanto presenti? Non è possibile che, da qualche parte dentro di me, ci sia l'”io” a 50 anni? A 60? A 90? Potrebbe il mio “anziano interiore” essere reale, ed accessibile, proprio come il mio “bambino interiore”?

Se è così sta mantenendo un profilo basso.

Forse è riservato.

E’ di certo meno popolare della sua controparte più giovane.

Se cerco su google “bambino interiore” ottengo molti più di 4,400,000 risultati.

“Anziano interiore” me ne dà meno di 3,000.

Sembra un po’ sbilanciato.

Per non dire ingiusto. Come se stessimo nutrendo eccessivamente i nostri bambini interiori mentre i nostri anziani interiori sono lasciati a morire di fame.

Non penso sia un segreto che molti di noi spendono una grande quantità di tempo e denaro ad inginocchiarci davanti all’altare della giovinezza, sperando di restare giovani, sentirci giovani, o almeno di apparire giovani. Vogliamo “crescere” ma non vogliamo “invecchiare”, temendo il giorno in cui verremo messi da parte come un altra vecchia ciabatta/fuori di testa/befana/racchia/megera. Una vecchiaccia/capra/bislacca. Un vecchio brontolone/con i capelli bianchi/strambo. Una reliquia. Un fossile.

Il suddetto timore è qualcosa di comprensibile, considerando che viviamo in un’epoca in cui i nostri anziani ci sono di frequente presentati come degni di derisione e sospetto, a cui bisogna ribellarsi o da detronizzare completamente. Un prosciugamento del nostro tempo/energia/risorse. Uno straccio bagnato. Un guastafeste.

E chi lo sa? Alcune di queste cose potrebbero essere garantite.

Per contrasto le generazioni più giovani sono feticizzate, emulate, nobilitate. Soddisfatte aggressivamente allo scopo. Soprattutto dai pubblicitari. Certamente da Hollywood. Qualcuno potrebbe sostenere che Hollywood ha esagerato, invertendo l’ordine naturale, spogliando in quotidianamente gli anziani da qualunque conoscenza che essi possano impartire e infarcendole nelle bocche dei ragazzini. Su schermi larghi e piccoli, sfigati saggi scolastici per pre e adolescenti, infantilizzati genitori/zie/zii, puerili su qualunque cosa, partendo dai suggerimenti per appuntamenti per i nuovi single ai rimedi per l’ansia esistenziale.

Non sta a me dire se i bambini stimolati siano esempio del buonsenso duramente conquistato, che Hollywood vorrebbe farci credere. Per quel che so, il mondo brulica di pupi-mistici, pronti a competere con Salomone in cambio di soldi (N.d.A.: shekel: siclo, moneta ebraica del tempo di Salomone)

Quello che posso dire, è che quando deve affrontare una decisione da adulto, si può esser certi che il mio bambino interiore straordinariamente darà consigli inutili. Generalmente una frase del tipo “Mangia un biscotto.”

“Cosa direbbe il mio bambino interiore?” non è una domanda che mi pongo nei momenti di crisi.

“Cosa direbbe il mio anziano interiore?”. E’ in progresso.

Se fossi nato in un altro tempo/posto, sarei stato in grado di rispondere a quella domanda più facilmente. In quel tempo/posto (probabilmente totalmente immaginario), sarei cresciuto in una comunità tribale dai forti legami, dove i giovani sarebbero effettivamente stati cresciuti dall’intero villaggio. Quindi un giorno, quando sarei stato vecchio abbastanza, sarei stato iniziato, invitato dai miei anziani ad andarmi a sedere vicino al fuoco e ad ascoltare La Saggezza del Tempo. Mi sarei seduto con soggezione e rispetto, piegato vicino alle fiamme per riscaldarmi e ai miei anziani per imparare, assorbendo quanto più possibile, anticipando già il giorno quando sarei diventato anche io un anziano, quando avrei indossato le pelli e portato il bastone, la Saggezza del Tempo adesso mia da trasmettere alla prossima generazione…

Ma per me – il vero me – non c’è stata iniziazione. Niente pelli, niente bastone. Niente Saggezza del Tempo.

Questo mi colpisce come un perdita.

In assenza di questi (possibilmente totalmente immaginari) anziani della tribù, sono stato lasciato a fare a modo mio. A creare il mio modello di maturità. Con risultati misti.

Ridimensionando su di me a 40 anni, mi sento ancora come un uomo-ragazzino, con la promessa dell’Anno Nuovo di lasciare le mie sneakers nell’armadio per i prossimi 12 mesi a meno che non debba andare in palestra. La mia speranza era che mettendo quelle scarpe ogni giorno (e a Los Angeles per giunta, dove gli uomini indossano le infradito nei ristoranti e le high tops per darsi un tono nei meetings) potessi camminare più come un adulto e quindi sentirmi di più come un adulto.

E ha funzionato. Fino ad un certo punto.

Ma mi è sembrata una mera compensazione per dei riti di passaggio più formalizzati che avrebbero dovuto aver luogo anni prima, molto prima che i miei capelli iniziassero a diventare bianchi, segnalando l’arrivo dell’età e della maturità/serietà che ne derivano con essa. Ma non è successo. E non succede.

Confesso che sto ancora aspettando che quella maturità/serietà faccia la sua comparsa. E potrei dover aspettare ancora per molto.

Nel frattempo, ho deciso di avere un punto da cui partire.

Ho iniziato a coltivare il mio anziano interiore.

Immaginando chi è. Com’è. Cosa rappresenta. Cosa reputa sacro. Cosa invece no.

Nel modo in cui lo immagino, il mio anziano interiore – segnato dalle intemperie, rugoso – provato d’orgoglio nei solchi del suo volto, le macchie di sole che attestano il tempo trascorso al sole. E’ l’uomo che ha visto della me-da, esperto nel trovare oro nell’oscurità. Vecchio abbastanza da sapere per cosa e chi vale la pena impegnarsi (o per cosa o chi no). Saggio abbastanza per aver abbracciato la scala dei grigi, circondato dall’insistenza infantile che il mondo e ogni cosa al suo interno sia esclusivamente in bianco e nero. Esperto abbastanza per capire che il tipo di scarpe che un uomo indossa è meno importante del tipo di uomo che le porta.

Trascorrere del tempo con il mio anziano interiore, lo demistifica. E per “lui-lo” intendo me. Me più vecchio. Me vecchio. Dandomi qualcosa con cui iniziare. Persino a cui guardare oltre.

In questi giorni, mentre viaggio nell’autostrada della vita, fingo che sia il mio anziano interiore a sorvegliare la guida, che occasionalmente si allunga a prendere il volante mentre il mio bambino interiore fa un meritato sonnellino sul sedile di dietro, avvolto stretto in una coperta da stadio.

Nel suo adorabile saggio “Un bambino interiore, un anziano interiore”, Adair Lara descrive la sua anziana interiore come una presenza calma, rassicurante, che le ricorda saggiamente che la maggior parte delle cose passano”.

Allo stesso modo, mi ritrovo a chiamare il mio anziano interiore per un consiglio nei momenti difficili. E mentre lui non ha molto (o niente) da dire di specifico per i miei problemi, mi ricorda che ho affrontato molte altre sfide simili da fine-del-mondo, prima. E Ehi!Il mondo non è finito.

Ma anche se/quando quei tempi difficili si dimostrano particolarmente difficili, posso immaginarmelo toccarmi la testa, confortandomi. Rassicurandomi. Come faceva mio nonno.

Per poi dirmi “Mangia un biscotto”.

Traduzione a cura di Kiara DESA

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