On Boundaries – Sui Confini

Sui Confini.

Nota originale: WENTWORTH MILLER·MERCOLEDÌ 11 LUGLIO 2018

Traduzione a cura di Lucia Salvato.

graphic by WM italia

 

Una volta avevo una macchina che portai in officina a far riparare. Poche ore più tardi, il meccanico emerse dalla postazione nella quale i meccanici fanno il loro lavoro e disse che era pronta. Oh – e che si era preso anche cura del nido di topo. “Nido di topo?” chiesi. “Si”, disse. Poi aggiunse, gesticolando, “Era grande”.

 

C’era un nido di topo. Nel mio motore.

 

Andavo guidando in giro, ignaro, coi topi. Nella mia macchina. Per chissà quanto tempo.  Piccoli passeggeri clandestini. Che si aggregano. Nei miei affari. Dove non dovrebbero.

 

Una volta, anch’io non avevo rispetto per i confini.

 

Davvero. Non penso di aver nemmeno associato la parola “confine” con me o con qualsiasi cosa che avesse a che fare con me fino intorno ai miei 35 anni. Ci sono delle motivazioni per questo:

 

  1. Crescendo, non si era mai parlato di “confini” o di “superare i confini”. Non era previsto.

 

  1. Crescendo, i miei confini venivano superati regolarmente. (Era previsto).

 

  1. Crescendo ho attraversato i confini di altre persone regolarmente. (Anche questo era previsto). Quando capisci presto che Non Tutti gli Spazi Sono Sicuri, diventi vigile. Ipersensibile. Stai attento agli umori degli altri. Interpreti le situazioni, prendi nota di ciò che accade. E ti comporti di conseguenza.

 

Cosa intendo quando dico che ho superato i confini? Intendo che sono rimasto Invischiato. Con te. Ero intento a rendere i Tuoi Sentimenti e le Tue Verità i Miei Sentimenti e le Mie Verità. Tu ridevi, io ridevo. Ti Arrabbiavi per Qualcosa, lo facevo anch’io. Ti sentivi triste, indossavo le scarpe da tip tap. Se mi sentivo di ballare ci avrei potuto pensare… dopo. (O mai). Compiacerti, rispecchiarmi in te e anticiparti (se potevo), modellarmi intorno a te – emotivamente, energeticamente – era la mia priorità.

 

Chiamatelo meccanismo di sopravvivenza.

 

Faccio un passo indietro. Cosa intendo con “energeticamente”? Intendo l’energia di una persona. Il tuo amico sembra stare Bene ma tu sai, intuitivamente, che non è così. Metti una mano sul suo braccio, chiedi cosa c’è che non va. Risponde “Niente” e dopo scoppia in lacrime. Glielo leggevi. Captando la sua energia. (Qualcuno potrebbe dire che stavi cogliendo delle micro-espressioni. Rispondo, “Stai calmo adesso. Stiamo parlando di energia”).

 

Faccio un passo indietro. Cosa intendo per “confine”? Dipende. Ce ne sono tanti. Il tuo corpo? Lo spazio fisico che occupi? È un confine. Se qualcuno ti tocca senza permesso e/o in un modo che non ti piace? Lo sta superando. Lo spazio immediatamente attorno al tuo corpo? AKA il tuo “spazio personale”? Anche questo un confine. La tua collega che ti parla troppo vicino? Vicino tipo “Posso sentire l’odore di ciò che hai mangiato a pranzo”? Lei lo sta attraversando. Ha bisogno di fare un passo indietro. Letteralmente. Quando ti metti al volante e il tuo spazio personale si espande per adattarsi alle dimensioni e alla forma della tua macchina, cosicché se qualcuno ti taglia la strada ti sembra F-ttutamente Personale? Lo percepisci come un superamento del confine. Il tuo vicino invadente ti fa domande invadenti? Un tentativo di superare un altro tipo di confine. Anche lui ha bisogno di fare un passo indietro. Figurativamente parlando. Quel parente di umore strano che ti fa sentire strano? Un altro confine superato. La loro stranezza era contagiosa. E tu l’hai presa. Come un raffreddore. E così via. Sono sicuro che ci sono altri tipi di confini. Questa non vuole essere una lista esaustiva.

 

Comunque. Una scuola di pensiero che sto attualmente esplorando suggerisce un esercizio fisico che aiuta a definire/visualizzare i confini. * Innanzitutto, mettiti in piedi. Immagina una bolla intorno a te. Tanto lontano quanto riesci a raggiungere a braccia estese in entrambi i lati, di fronte a te, dietro di te, e sopra e sotto di te. Eccolo. Quello sei tu. Quelli sono i tuoi confini. Dove tu inizi e finisci.

 

Emotivamente, energeticamente, nessuno appartiene qui tranne te. Non appartieni a nessun’altra parte.

 

Crescendo, ho passato tanto tempo da un’altra parte. Ovunque tranne che nei miei confini. Perché? Come ho detto, i confini venivano superati. Non mi sentivo al sicuro nel mio spazio. Quindi lo avrei lasciato. Mentalmente distaccato. Emotivamente assente. Ritorna quando il casino si è stabilizzato. Quindi occupati di questo trambusto. Era come andare al cinema e tornare a casa per scoprire che era stata svaligiata. Inoltre, come ho detto, ero impegnato a restare in contatto con te. A superare i tuoi limiti. E i suoi (di lui). E i suoi (di lei). E i loro. Per capire come tu/lui/lei/loro vi sentivate. Per assicurarmi di essere al sicuro.

 

Ancora oggi devo lavorare per rispettare i confini. Se non lo faccio, ecco cosa accade: Andiamo a cena. Mi parli di Quella Cosa Orribile Che È Successa. Io ti ascolto. Mi immedesimo. Registro le tue sensazioni. All’improvviso è come se fossi (emotivamente, energeticamente) dall’altra parte del tavolo. Con te. Non presto attenzione a come mi sto sentendo io. Ma solo a quello che tu stai provando. Quello che provi tu È quello che provo io (o così sembra). Non posso essere Lì Per Te perché sono Con Te. Il che significa che non sono Con Me. Potrei non ritornare in me per ore.

 

Questo non è salutare. Per entrambi.

 

Ora che sono Invischiato Con Te, se tu decidessi di svoltare verso una direzione estrema, è possibile che io venga trascinato insieme a te. Questo non sarebbe necessario. O utile. Non posso esserti di nessun aiuto se sono Invischiato Con Te. Ciò di cui hai bisogno (Secondo Me), mentre mi parli di Quella Cosa Orribile Che È Successa, è che io mantenga uno spazio amorevole, di ascolto, in qualche modo neutrale. Sono più in grado di capire come supportarti se rimango (emotivamente, energeticamente) sul mio lato del tavolo. Quindi se tu decidessi di svoltare verso una direzione estrema io manterrò uno spazio per la tua rabbia, non mettendo in mezzo anche la mia. Asciugherò le tue lacrime, senza singhiozzare al punto tale che tu devi adesso consolare me.

 

Qualcuno che conosco lo fa costantemente e ho quasi rinunciato a condividere argomenti delicati con questa persona. Nell’istante in cui li introduco questa persona è Invischiata Con Me. Se dico tipo, “Era Aprile…” i suoi occhi si allargano. “Un Mercoledì? Credo?” Il labbro inizia a tremare. E dico tipo “Oddio, lasciamo perdere”. Adoro questa persona, ma non mi rivolgerei mai ad essa nei momenti di crisi. Non credo che sappia mantenere uno spazio che possa essere di supporto.

 

Non è facile. Questo discorso sui confini. (Per me). Ma ho raccolto alcuni suggerimenti e trucchi. Mi alleno a fare intenzionalmente cose che gli altri fanno involontariamente quando i loro confini vengono oltrepassati. O quando sono a rischio di esserlo. Cose reali e tangibili che mi aiutano a gestire l’intangibile. (Qualcuno potrebbe dire “immaginario”. Io dico “Stai zitto mentre impiastriccio questo spazio”).

 

Sei mai stato seduto di fronte a qualcuno che Non È A Suo Agio con ciò che si sta discutendo e si appoggia all’indietro? Che incrocia le braccia? Le gambe? Che si allontana da te? Si chiama linguaggio del corpo “difensivo”. È accurato (Secondo Me). Quella persona sta difendendo i suoi confini.

 

Faccio anche questo. Di proposito. Quando sento che sto rischiando di oltrepassare i tuoi limiti o ti sto permettendo di oltrepassare i miei. Mi spingo indietro dal tavolo, metto un po’ di distanza tra noi. Incrocio le braccia. Letteralmente mi tiro indietro (e tu resti fuori). Potrei mettere una mano sulla mia gola, l’altra sul mio cuore, qualunque cosa abbia bisogno di essere difesa e/o protetta. Incrocerò le gambe – caviglia sul ginocchio – massimizzando/delineando il mio spazio, i miei confini. Se c’è qualcuno seduto accanto a me, farò in modo che massimizzare il mio spazio non significhi minimizzare il loro (vedi “manspreading”: N.d.T. uomini che sottraggono lo spazio altrui fisicamente – ad esempio: a gambe larghe sui mezzi pubblici invadendo lo spazio fisico delle donne – e psicologicamente).

 

Mi perdo…nei tuoi occhi”. Non è solo un verso. Interromperò anche il contatto visivo. Noterò la mia forchetta. Regolerò il polsino della camicia. Ti guarderò negli occhi solo quando, e per il tempo che mi sentirò a mio agio. Dopodiché guarderò altrove di nuovo. Mi chiederò (silenziosamente), “Sono ancora qui? Con me?” Se la risposta è “No”, immaginerò un aspiratutto al mio centro, che risucchi tutto (me) verso l’interno. Questa visualizzazione può essere accompagnata da una sensazione sorprendentemente reale di qualcosa (io) che ritorna. Se la risposta è “Si” riprendo e mantengo un appropriato contatto visivo. Non devo a nessuno sguardi lunghi e significativi, a prescindere da che cosa stiano dicendo. Gli sguardi fissi sono innaturali. Li fanno gli attori principianti. O le persone che ti stanno per f-ttere. O che stanno per picchiarsi. Nella vita reale interrompiamo il contatto visivo. Di frequente. A volte siamo annoiati e non bravi ad ascoltare. A volte abbiamo bisogno di fare delle piccole pause per prendere possesso di noi stessi, per vedere se siamo ancora “presenti” e con noi stessi.

 

Quando me ne ricorderò, mi fermerò prima di parlare. Se sei turbato e stai parlando in fretta, la tentazione/l’invito è di parlare in fretta. Di far combaciare i nostri toni e il nostro ritmo. Questo è quello che due attori farebbero per infiammare una scena. In generale, mettere fuoco sulle situazioni non è qualcosa che voglio fare nella vita reale. È così che avvocati e giornalisti convincono le persone a dire ciò che non intendevano dire. Dettando tono e ritmo. (Se hai visto qualcuno messo sotto torchio in TV e/o nei film, sai di cosa parlo). Se sei turbato, l’ultima cosa che voglio fare è quella di lasciarti dettare tono e ritmo e dire qualcosa che Non Intendevo Dire. Voglio scegliere le mie parole attentamente. Voglio rimanere calmo.  Misurato e stabile. Così posso supportarti nel tuo momento difficile.

 

La maggior parte di questa procedura è, certamente, gestuale. Linguaggio del corpo. I gesti funzionano? Nessuno può dirlo. Se mi do una pacca sulla spalla, funziona? Che ne dici se ti faccio il dito medio?

 

Ci sono altri vantaggi nel disconnettermi/separarmi intenzionalmente, nel riprendere fiato e riprendere possesso di me stesso, per assicurarmi che i miei confini (emotivi, energetici) siano intatti.

 

Non dovresti preoccuparti di cosa dice la gente”. La gente ama lasciarmi questo commento sulla mia pagina. (Non si riferiscono a sé stessi, ovviamente. Vale solo per gli altri). Non penso di essere fatto così. Sta di fatto che non sono un robot. O un sociopatico. Mi interessa cosa pensa la gente. Probabilmente mi interesserà sempre. E (ed è una “e” inclusiva) ora che sono più maturo, riconosco che devo fare ciò che penso sia meglio per me, a prescindere.

Tornando al preoccuparsi di ciò che la gente pensa. Se sto Dicendo la Mia Verità, se
sto dicendo qualcosa di difficile e soppeso la tua reazione mentre parlo, potrei – involontariamente – alterare ciò che sto dicendo. Potrei perdere impeto e coraggio. La mia verità potrebbe cambiare (nel tono ma anche nella sua essenza) mentre fuoriesce dalla mia bocca. (Vedi: Prendere nota di ciò che accade e comportarsi di conseguenza). Questo è negativo. (A volte).

Ho trascorso un anno a lavorare con una serie di imprenditori edili che non avevano nessun problema a Dire la Loro Verità. Mi guardavano negli occhi mentre mi davano brutte notizie e opinioni scortesi, mi sentivano sospirare, mi vedevano aggrottare le sopracciglia e la cosa non sembrava influenzare, in minima parte, quello che dicevano o come lo dicevano. Non erano, apparentemente, Invischiati Con Me. Lo erano solo Con Loro Stessi. Prestavano attenzione solo a come loro si sentivano. Se le nostre posizioni fossero state invertite, e sarei stato io a vederli reagire negativamente, c’è una possibilità che avrei fatto Marcia Indietro. In sordina. Avrei esordito con una notizia positiva. Prevista per dopo. Avrei potuto mitigare, persino mettere a tacere la mia verità.

 

Stavo parlando con un co-protagonista del Dire La Tua Verità e ha detto: “È facile, apri la bocca e la verità viene fuori”. Ricordo di aver pensato (non per la prima volta), “Fratello, siamo fatti diversamente. Tu ed io”.

 

Come i miei imprenditori, quel co-protagonista è un maschio etero. Non ho esperienza di lui che si Invischia Con Me. È per questo? Perché è etero? E maschio? È più facile per gli uomini eterosessuali Dire La Loro Verità? Prestare attenzione, esclusivamente, a come Loro Si Sentono? Gli uomini etero hanno sperimentato meno spazi pericolosi? Hanno dovuto fare meno sforzi per interpretare le situazioni, per prendere nota di ciò che gli accadeva intorno? Hanno fatto meno sforzi per regolarsi di conseguenza? Non sono sicuro che sia questo ciò a cui vorrei aspirare. Ho conosciuto tantissimi uomini etero che avevano un bel po’ di problemi a Dire La Loro Verità. Con serie conseguenze.

 

Voglio parlare della mia verità (o averne l’opzione) a prescindere da come venga ricevuta. Questo è un lavoro in corso. Per ora, quando parlo di qualcosa di difficile, trovo che possa essere utile interrompere il contatto visivo. Rimanere, per quanto possibile, Con Me finche non avrò detto tutto. Potrei ristabilire il contatto visivo solo allora. Se l’altra persona sta avendo una Reazione, a quel punto me ne occuperò.

 

Alcune persone, in questo mondo, potrebbero tollerare di prestare più attenzione a come vengono fuori, a come vengono accolte e percepite dagli altri. Il mio lavoro sembra l’opposto. Potrei tollerare di prestarne ancora meno. Non è facile quando la tua formazione/il tuo condizionamento (prima come bambino, poi come attore) è di Decifrare Sempre il Tuo Pubblico. (O quando il tuo pubblico è abituato ad essere decifrato).

 

Un altro inconveniente del prestare attenzione solo a come si è percepiti: non sto prestando attenzione a come mi sento. Questo è un problema. I sentimenti arrivano sia che presti attenzione o meno. È nel mio interesse esserne consapevole, specialmente avendo problemi di salute mentale. Trascorro una parte significativa di tempo, quasi tutti i giorni, a regolare le mie emozioni. Alcune sono forti. È come fare surf (cosa che non ho mai fatto), cavalcando le onde infinite non appena arrivano. Mentre sono bloccato nel traffico. Mentre compro i tovaglioli. Mentre pranzo con un amico…Che bello! Pranzare con un amico. Concentrarsi esclusivamente su come Lui Si Sente e su cosa è Vero Per Lui. Per fare una pausa da ciò che è Vero Per Me. La la la. Saluto il mio amico. Vado a casa, ceno. Guardo il baseball. Vado a letto. Apro gli occhi alle 2 del mattino. “Cosa ha detto quello str-nzo? E questo sarebbe divertente?”

 

Potrebbe accadere questo. Non così di recente, visto che lavoro per provare sentimenti in Tempo Reale, nel momento stesso in cui si manifestano. È una specie di “egocentrismo” che considero positivo. Se controllo sistematicamente me stesso, monitorando come sto/come sta andando avrò meno notti insonni. Di questi tempi, a pranzo con quell’amico che sfotte, potrei dire: ”Aspetta – non è stato divertente”. Potrei dirlo 30 minuti dopo che la battuta è stata fatta ma va bene. Con un po’ di lavoro potrei continuare a restringere questo divario. In modo che non appena si verifica la presa in giro, sono consapevole che sto reagendo negativamente, riconosco che c’è qualcosa che deve essere affrontato e lo affronto.

 

A proposito, di cosa sto parlando qui, di questa dissociazione o soppressione o di quant’altro? Dove mettiamo le cose scomode/cariche emotivamente, in una scatola che guardiamo (molto) più tardi? (O mai)? Credo che questo tipo di comportamento esista in un ambito che noi chiamiamo Essere Professionali. Quando siamo sul posto di lavoro, con le sue specifiche aspettative riguardo a: ciò che è o non è considerato un comportamento appropriato, molti di noi lo “imbottigliano”. Metti il tappo. Appoggialo, impacchettalo, impilalo. Ho conosciuto più di un cameraman, tranquillo e imperturbabile, che aspetta di arrivare a casa per Tirare Tutto Fuori. (Su qualcuno, magari). Questa è una questione culturale (Secondo Me). Non è un problema specifico di quelli come noi con problemi di salute mentale.

 

Ritorniamo ai topi. Nel mio motore.

 

Cosa direbbero? I miei topi? Se chiedessi loro perché pensano che sia accettabile attraversare i miei confini? Mettere il naso nelle mie cose, nei fatti miei, dove non avrebbero dovuto? La mia ipotesi è che avrebbero una giustificazione perfettamente logica/ragionevole (a loro favore). Nella mia esperienza, sia i topi che le persone (e includo anche me stesso in questo) eccellono nel razionalizzare il comportamento invasivo. Nella Vita Reale e altrove.

 

Grazie alla tecnologia, ognuno di noi è in grado di oltrepassare nuovi confini più velocemente e più facilmente che mai. I social media, in particolare, sembrano progettati per incoraggiare l’invasività. E giustificarla. “Segui!” È come se lasciassero la porta semi-aperta. E se decido di spalancarla… *non fa niente* Era come se non aspettassero altro. (Giusto?) Facile escogitare delle giustificazioni perfettamente ragionevoli/logiche (a mio favore) per aver cliccato quel link/scaricato quel file/tallonato quella pagina. Per aver scavato nel motore di qualcun altro e aver fatto un nido per me stesso.

 

Fortunatamente per loro e per me, in momenti di debolezza e di tentazione, c’è un’emozione che verrà in mio soccorso. Una sensazione di nausea e di disagio, del tipo “Oooo non dovrei fare questo/Sono contento che mio ____non sia vivo per vedermi” che mi avverte del fatto che Sto Facendo Una C-zzata. Si chiama Vergogna.

 

Se la rabbia si presenta quando le persone non rispettano i nostri confini, la Vergogna ci fa sapere se e quando non stiamo rispettando i loro.** La Vergogna (nella sua forma più salutare) è nostra alleata. Un’amica. Ci dice che quella cosa che stiamo facendo? “No. Non farla. Fermati”.

 

Mi piace pensare alla Vergogna come al mio sistema d’allarme. Fondamentale nelle relazioni salutari e rispettose. Se sono senza Vergogna, se il mio sistema d’allarme è rotto (o sono abituato ad ignorarlo), se mi rifiuto di fare il lavoro di onorare i tuoi confini o persino di riconoscerli, allora significa che tu devi farlo. Tu devi fare il lavoro di frenare me e la mia c-zzata fuori controllo.

 

Parlando per esperienza, le persone fuori controllo sono f-ttutamente estenuanti. Nella vita reale e ovunque.

 

Ecco cosa è Vero Per Me: i Confini sono una questione seria. Di vita e di morte. Potenzialmente. Soprattutto se hai problemi di salute mentale. Emotivamente, energeticamente, sono Lì Per Te. Ma non sono Con Te. O Con Lei. (O con lui. O con loro). Nel momento in cui come Tu ti Senti e cosa è Vero Per Te eclissa come Io Mi Sento e cosa è Vero Per Me, sono nei guai. Non sono più Con Me. Questo è no bueno. Lasciato incustodito, come un bambino la cui baby-sitter sgattaiola per fumarsi una sigaretta, mi ritroverò Nei Casini. E merito di meglio. Merito me. Di essere Con Me. Di nuovo, questo è un “egocentrismo” che approvo. È (Secondo Me) una pratica essenziale per tornare alla salute mentale positiva.

 

Conta anche come auto-cura. Come si suol dire, “Non puoi versare da una tazza vuota”. Occupandomi dei miei confini, occupandomi di cosa è Vero Per Me, mi aiuta a mantenermi più presente e autentico. Più in linea con me stesso. Mi aiuta a tenere d’occhio la mia tazza, per assicurarmi che rimanga piena (ma non troppo). Così se hai bisogno di una ricarica, ce l’ho. E quando la do, è per scelta.

 

 

* https://www.youtube.com/watch?v=XOuC4P2W56s

 

** https://www.youtube.com/watch?v=u802g8g6S5Y

 

 

Quanto sopra non è la “verità”. È la mia verità. La mia verità del momento. Dalla quale mi riservo lo spazio e il permesso di evolvermi ad ogni momento.