Duck’s Back

Era difficile da non notare. Cosa che probabilmente è stata la causa di tutto.

Codini e braccia a girandola. Top a tubo di colori sgargianti e una minigonna. Sui pattini.

Sembrava si stesse divertendo, orbitando in questo incrocio affollato all’ora di punta. Danzando il vogue e improvvisando. Parlando da sola. Schivando le auto e dirigendo il traffico. (E i pedoni).

Ho avuto la sensazione che lo stesse facendo da un po’. Questo era il suo passatempo. (E il suo incrocio).

Seduto in auto fermo al rosso, guardando i movimenti di questa persona, ho iniziato a fare alcune considerazioni. La prima era che probabilmente era conosciuta dai residenti. “Ah già“, avrebbero detto annuendo, “Lei.”

Il mio secondo pensiero – poco più di una direttiva interna – è stato quello di inserirla in una cartella etichettata come “Problemi Mentali (Seri).” Vicino a “Uomini Che Urlano Agli Angoli Delle Strade (Con Varietà Assortite).”

Era una cosa carina da fare? E’ da me? Giusto?

No.

Ed è quello che faccio. Se sono onesto.

Traccio un profilo delle persone. Le inserisco in categorie. Tipo “Ok” vs “Non ok.”

E’ una vecchia abitudine. Automatica. E mi tiene al sicuro.

Sono un omosessuale di colore e non sono estraneo ai problemi mentali. Ho avuto i miei periodi di codini e braccia a girandola (in modo figurato). E mano a mano che mi muovo per il mondo mi serve per Tener Le Cose Sott’Occhio. Per Vedere Chi Và Là.

Mandando avanti veloce di un mese.

Ero vicino allo stesso incrocio, a piedi questa volta, stavo per entrare in un negozio. Mi sono avvicinato alla porta ed è apparsa lei, sfrecciando di fronte a me, tagliandomi la strada, bloccandomi l’entrata.

Stessi vestiti. Ancora sui pattini. Alla mia stessa altezza (o di più).

Sorpreso, ho fatto un passo indietro. E ho fatto una pausa. Non certo dalla sceneggiatura in atto.

Ha sospirato in maniera teatrale, guardando me e poi la porta e di nuovo me. Dopodiché ha stretto gli occhi. Mi ha dato del maleducato. Chiedendomi come mai non le stessi tenendo la porta aperta. Prima che potessi rispondere se l’è aperta da sola ed è entrata pattinando, lasciandomi sul marciapiede.

Stupefatto.

L’intera cosa è stata bizzarra. Assolutamente casuale.

E neanche chissà cosa.

Perché l’avevo già classificata sotto i “Problemi Mentali (Seri).”

Qualunque cosa mi abbia detto, su di me, e mentre era lì sarebbe stata percepita attraverso quel filtro. E non presa come una cosa personale. E non è stata presa come tale.

Ho già assegnato a questa persona un valore, sono stato preparato ad interpretare questo strano momento come un suo problema. Non mio. Nell’istante in cui ha incrociato la mia strada ho capito che sarei meramente stato lo schermo sul quale lei ha proiettato… qualunque cosa dentro di lei che avesse bisogno di proiettare. Ero preparato a lasciarle un certo spazio che in genere non concedo a nessuno. Flessibile. Neutrale. Oggettivo. Qualcosa che le permettesse di essere esattamente chi/cosa fosse e per me di camminare lontano dal nostro scambio con nulla di più che una storia da raccontare. Né arrabbiato né offeso. Scosso o agitato.

Come l’acqua sul dorso di un’anatra.

Ora diciamo che stavo per entrare nel negozio e un uomo è entrato prima di me, tagliandomi la strada, bloccandomi l’entrata. Era ben vestito e in tiro, con un taglio di barba alla moda. Appena ha aperto la porta mi ha lanciato un’occhiata, sibilando, “Frocio.” Dopodiché è entrato.

Facciamo un passo indietro.

Diciamo che stavo per entrare nel negozio e un altro uomo mi ha tagliato la strada. E’ sporco e trasandato. Indossa 10 cappotti. “Farneticando” e “delirando” contro nessuno in particolare. Mentre apre la porta mi lancia un’occhiata, e urla, “Frocio!” Dopodiché entra.

Dovrei prenderlo da parte, urlandogli in faccia? Sfidarlo?

Sicuro. Potrei. Ma non lo farei.

Perché anche se quello che ha detto era rivolto a me (apparentemente) e avrebbe riguardato me (apparentemente), riguardo alla mia identità (tecnicamente), saprei che è un problema suo. Non mio.

O meglio, avrei già deciso che è un problema suo.

Perché la proiezione è una strada a due vie.

Il momento in cui vedo 10 Cappotti gli assegnerei un valore – “Problemi Mentali (Seri)” – poi mi sistemerei nella prospettiva in cui qualunque cosa egli dica conseguentemente, io sarei meramente lo schermo su cui sta proiettando… qualunque cosa dentro di lui che avesse bisogno di proiettare. Tenendo per lui lo stesso spazio che ho tenuto per Pattini. Flessibile. Neutrale. Oggettivo.

Tornando a Barba Curata.

La differenza tra lui e 10 Cappotti è la presentazione. Il modo in cui guarda/cammina/parla. La sua complessiva vibrazione (“Normale”). Anche se, per tutto quel che so Barba Curata dovrebbe essere inserito a sua volta nella cartella “Problemi Mentali (Seri).” Proprio accanto a Pattini. Per quel che so, attaccare con la parola con la f- è la versione di codini e braccia a girandola. Chi potrebbe mai dirlo?

Seguendo questa linea di pensiero, potrei, plausibilmente, tenere lo stesso spazio per lui. (Flessibile. Neutrale. Oggettivo.) In ogni caso, invece del suo “Frocio” che tagliandomi in due fa scatenare una scenata, guarderei piuttosto serenamente alla sua granata verbale, sfrecciata su e verso di me, che si inarca in cielo… prima di fare fiasco e rimbalzare via, detonando da qualche parte fuori dallo schermo con un innocuo pfft. Potrei allontanarmi dal nostro scambio con nulla di più di una storia da raccontare. Né arrabbiato né offeso. Scosso o agitato. “Il dorso di anatra” e così via.

Più facile a dirsi che a farsi.

Si. Sicuro. Potrei plausibilmente assegnare a tutti – tipo, tutti – lo stesso valore. Potrei inserire tutti nella cartella “Problemi Mentali (Seri)” e non prendere mai più qualcosa sul personale. Tipo, mai più. Andare per il mondo con la consapevolezza che quello che la gente dice e fa – a me, su di me, attorno a me – sia un problema loro. Non mio. Quando si confronta la varietà del pacchetto di ogni –ismi e –fobie, con qualunque cosa che per loro sia la versione personalizzata o “normalizzata” di codini e braccia a girandole che si manifesta, il mio comportamento potrebbe essere, “Non so la tua storia o cosa ti ha portato qui. Farò quello che sarà necessario per tenermi al sicuro – fisicamente, mentalmente, spiritualmente – mentre riconosco il fatto che sei tu quello in crisi. Non io. Farò del mio meglio per occuparti un posto distaccato anche se presente. Perfino compassionevole. Se possa essere considerata una cosa giusta e/o appropriata. E non a mie spese.”

Più facile a dirsi che a farsi.

Ho più di 4 decadi di lavoro di condizionamento contro questa cosa. Più di 4 decadi a catalogare la gente.

“Ok” contro “Non Ok.”

“Normale” contro “Non Normale.”

“Una cosa personale” contro “Una cosa non personale.”

Il fatto è, che se affronto qualcuno che sembra/cammina/parla in un certo modo, un modo che mi è stato insegnato dalla cultura e dall’esperienza essere identificato come “Ok” e “Normale”, è come se la prendessi sul personale, qualunque cosa mi venga detta. E reagisco di conseguenza.

E’ come se gli assegnassi un valore “Una cosa Personale” dal principio e poi, una volta che dimostrano di essere maleducati/offensive/minacciosi, cerco di tornare indietro su “Una cosa Non Personale”. Senza successo. Perché è troppo tardi. Sono arrabbiato. Scosso e agitato. Sono cose che sono sotto la mia pelle.

Facendola complicata è che Prenderla sul Personale è parte del mio allenamento professionale. Ho passato anni a lezione di recitazione ad imparare come “aprirsi” e “abbassare la guardia” così quando il partner di scena dice Quella Cosa che è fatta per scatenare Quella Reazione, ci riesce. Colpisce dritta al punto. E qualcosa succede dentro di me, qualcosa che vale la pena filmare.

Ho assottigliato la mia pelle. Intenzionalmente.

Quell’apertura che ho imparato non si spegne semplicemente con un click quando il regista urla “Taglia!” E’ interessante per me vedere come certa gente disapprova quando un attore ben conosciuto dà di matto in pubblico. “Dra-mma!” Beh. Ok. E’ il motivo per cui è ben conosciuto e non serve più ai tavoli. I migliori attori hanno imparato a Prenderla Davvero sul Personale (secondo me). Qualunque “cosa” essa sia. Sono reattivi. Sensibili. (Pronti per i pattini?) E il mondo – occupato a Tirar Fuori le Palle e ad Esser Conservativo – paga bene per guardare.

Gestisco la mia pagina FB da più di 2 anni, postando con cura link selezionati, video, e note più o meno 5 giorni a settimana. Tutti I miei post sono personali (motivo per cui li posto). Poi degli sconosciuti visitano la mia pagina e fanno dei progetti su di essa… qualunque cosa abbiano bisogno di progettare. Molte delle cose che scrivono è su loro stessi e gli altri, ma un sacco di commenti sono per me (apparentemente) e su di me (apparentemente). Non c’è bisogno di dirlo, è un’esperienza da cui si impara. Uno schema che ho osservato è che – a meno che non faccia una scelta consapevole non preannunciata – assegno un valore di “Prenderla sul Personale” automaticamente per I commenti da gente che non ho mai incontrato e che mai incontrerò. Permetterò che degli sconosciuti arrivino sotto la mia pelle.

Questo mi ha portato ad un’arrabbiatura o due.

Non molto tempo fa ho postato qualcosa o altro in risposta a qualcosa o altro e uno dei commenti che sono arrivati era, “Perché devi prendere tutto sul personale?”

Perché è la mia pagina personale.

Scherzo. (O una cosa del genere.)

La verità è, che ho preso alcuni commenti sul personale. E (uno potrebbe contestare) stupidamente. Finché non ho idea di chi stia commentando. (Pattinatrice? Sei tu?)

“Perché devi prendere tutto sul personale?”

Inizialmente l’ho letto come un rimprovero. Come se da adulto o da uomo o da famoso (o tutte e tre le cose) io fossi al Di Sopra di Questo. Non Lasciando che mi Tocchi. Prendendo la Strada Maestra. Porgendo l’Altra Guancia.

Poi ho ricordato a me stesso che non conosco questo commentatore. La loro storia o da dove vengono. Cosa li ha portati qui (la mia pagina).

Per tutto quello che ne so, chi commenta potrebbe essere quello che è rimasto di un ragazzino che è stato preso di mira dai bulli a scuola e che – finalmente dopo aver trovato il coraggio di cercare aiuto da un insegnante/consulente/genitore – è stato in grado di cacciare via e rifiutare un: “Perché devi prendere tutto sul personale?”

Ora sono sulla mia pagina (perché mi hanno visto in TV) facendo una domanda che merita legittimamente una risposta. Perché stanno cercando di salvare loro stessi. Di dare un senso ad un mondo in cui provano costantemente vergogna nell’essere sensibili. Per Prenderla sul Personale.

Quello che voglio dire a quel ragazzino è questo: Penso che essere sensibili sia una buona cosa. Penso che Prenderla sul Personale sia una buona cosa. E’ quello che mi ha fatto diventare fino ad oggi un uomo/attore/sceneggiatore.

Non lo cambierei con nulla al mondo.

Direi che essere sensibili è quello che ci rende umani. La gente che la Prende sul Personale cambia il mondo. Porta a termine la m—da. Perché? Perché la Rendiamo una cosa Personale. Qualunque “cosa” sia.

Direi anche che, essere sensibili, mi è servito per continuare a fare pratica ad essere sensibile verso gli altri. A fare pratica nel mantenere un certo spazio. Per valutare, nel meglio delle mie abilità, se quello che qualcuno mi dice, su di me, o attorno a me sia davvero su di loro. Non su di me.

E reagire di conseguenza.

A volte essere sensibili sembra come sapere quando non ho bisogno di Prenderla sul Personale.

A volte essere sensibili sembra come riconoscere che non importa come la prossima persona sembri/cammini/parli, non importa come possa essere ben vestita o in tiro, possono molto facilmente avere un paio di pattini nel fondo dei loro armadi a casa.

Proprio come me.

Traduzione a cura di Kiara

Fonte.