Di seguito l’intervista completa ma mai pubblicata dal magazine Fast Company (il magazine publbicò solo una piccola parte) postata da Wentworth per noi su Facebook nel 2016. L’intervista, dichiarò Wentworth, fu eseguita tramite e mail. Questa era l’intervista intera.
7 Luglio 2016
Le seguenti domande sono state formulate e risposte via email.
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Q:Hai iniziato come scrittore e poi ti è capitato di fare l’attore o vice versa? Ha poi avuto un’evoluzione durante la tua carriera?
A: Ho iniziato come attore. E solo come attore. Per molto tempo. Non mi sono avvicinato alla scrittura – e intendo che non ho mai avuto il coraggio nemmeno di provarci – fino alla terza stagione di Prison Break. Eravamo in una location a Dallas, e stavo cercando qualcosa da fare nei miei giorni liberi, e avevo una copia dello scritto per un film della Miramax del quale avevo fatto un provino un paio di anni prima. Una commedia romantica ambientata nel mondo del competitivo Scrabble. Molto carina. Ma ho avuto alcune idee. Cose che avrei voluto cambiare. Perciò ho pensato “perché non provo a riscriverlo? Posso impegnare le mie ore e insegnare a me stesso qualcosa sulla stesura di sceneggiature…Sarà come prendere una macchina smontata e ri-assemblarla.” Quella fu la prima volta che scrissi. O riscrissi. L’inizio della mia educazione (da scrittore).
Q: Cosa scrivevi prima di Stoker? (sceneggiature? brevi racconti?)
A: Non molto. Una o due poesie. Lunghissime e dettagliatissime e-mail. Mi ricordo che stavo corrispondendo quotidianamente, in maniera pesante e prolissa, con una mia amica. Finalmente lei mi rispose e mi disse qualcosa come “ti voglio bene. Ma non riesco a starti dietro”.
Q: Come rivedi adesso quel materiale?
A: Ovviamente penso che una parte di me cercava di esprimersi attraverso la scrittura. Ed è stato così per un certo periodo. Questo è ciò che mi sono sentito di fare quando ho permesso a me stesso di scrivere STOKER. Il tutto scorreva semplicemente fuori. Come se fossi stato in attesa che si manifestasse. Scrivevo dalle 8 alle 10 ore al giorno e quando la sceneggiatura fu terminata, mi sentii come se l’avessi e non l’avessi scritto io, hai presente? Come se l’avessi canalizzato. Qualcuno a me molto vicino, che mi fa sempre regali molto singolari, mi dice sempre “Io sono solo il tramite”. Come se [la storia in questo caso] passasse attraverso di lei arrivando da qualche altra parte. E fu così anche per me.
Q: Scrivere Stoker, ti ha fatto sentire diversamente rispetto ai pezzi che hai scritto in precedenza? C’era la sensazione che quello sarebbe stato il “primo”? (Se è effettivamente stato il primo che hai venduto. Se no, che cosa è stato?)
A: In entrambi i casi, non ho avuto una forte sensazione. Sul fatto che fosse vendibile o meno. Ho pensato “bene, è una via di mezzo… non proprio drammatico e non è un vero e proprio thriller…” Ma sapevo che era pronto. Pronto per essere messo là fuori nel mondo. Ed è questo che è stato venduto alla Fox Searchlight. Quel primo progetto.
Q: Com’è stato il processo di vendita? Come ti è stata d’aiuto la tua esperienza per gli affari?
A: È successo molto velocemente. E seriamente. Ero un attore e avevo un’agenzia alle spalle e avevo l’accesso, e questo ha aiutato enormemente. Senza dubbio. Ho scritto la sceneggiatura, abbiamo trovato un produttore – Scott Free – e l’abbiamo venduto, il tutto…credo in circa 6 mesi? Ed è stato realizzato in un anno circa. Non ricordo esattamente. Ma tutti mi dicevano “di solito non succede tutto così”. E ho creduto loro. Ma non avevo null’altro come termine di paragone.
Q: Nessun imprevisto durante la produzione? Revisioni dell’ultimo minuto?
A: Ho già affrontato questo discorso prima… non ho avuto nessun coinvolgimento con il film oltre alla stesura della prima bozza. Quando stavano cercando il regista, mi hanno fatto incontrare il Direttore Park e ha passato tre ore a sistemare una versione molto differente del film. Così feci quello che pensai essere una decisione molto pratica. Rimasi in seconda fila, volevo che il film fosse realizzato. Così mi sono sollevato dall’incarico e mi sono astenuto dall’intero processo. Non volevo essere quel genere di ragazzo sul set che sta a sindacare su un certo tipo di versione del film, senza comunque avere voce in capitolo. E quella fu una telefonata molto difficile. Veramente una telefonata molto difficile. Perché si trattava del mio primo scritto. Ed io ne ero molto affezionato. Ma alla fine fu come, “Ecco, prendi il bambino. Ci vedremo alla laurea”.
Q: The Disappointments Room è stata la tua seconda sceneggiatura, scritta subito dopo Stoker? Se no, qual’è stata?
A: La cosa successiva che scrissi, fu UNCLE CHARLIE, il prequel di STOKER. In realtà, iniziai a scriverlo mentre eravamo in mezzo alla trattativa di vendita di STOKER con la Fox. E lo finii prima della chiusura dell’accordo. Così poi abbiamo chiamato la Fox per dire loro “Oh, comunque, in realtà state negoziando per due pezzi”. Non acquistarono il prequel ma quando acquistarono STOKER, acquistarono anche i diritti sull’ “idea creativa”. I personaggi ed il loro universo. Quindi la Fox resta l’unica che potrebbe realizzare UNCLE CHARLIE. Cosa che non faranno. Non credo. Non verrà realizzata fino a che STOKER non guadagnerà un triliardo di dollari.
Q: Essere diventato uno sceneggiatore, ha cambiato del tutto il tuo modo di trarre ispirazione? Quello che intendo dire è – ha questo influenzato il modo in cui decidi se vale la pena o meno delineare o meno un’idea e riportarlo nella storia?
A: No. Ho realizzato 4 scritti originali in totale, e ad eccezione di THE DISAPPOINTMENT ROOM forse, non li ho scritti con l’idea di essere venduti. Di solito mi piace attendere e scrivere solo quando “sento” di farlo – lo scritto e la storia – è come se sentissi un prurito sotto la pelle. Quando non riuscivo a scrivere. E scrivevo per me stesso. Ragioni che andavano ben al di là delle ambizioni professionali e dall’ottenere qualcosa in questo ambito…Scrivevo perché mi rendeva felice. Perché non avevo bisogno della partecipazione delle altre persone o della loro benedizione o di altro. Perché era terapeutico. Auto-espressione – attraverso la scrittura o qualsiasi altra cosa – può salvare la vita. Indurre un cambiamento. E lo fu. Non mi sono mai preoccupato se uno scritto sarebbe stato venduto o meno. L’ho semplicemente scritto. Riconosco essere una posizione da prendere estremamente privilegiata. Mi sento fortunato per essere stato capace di sedermi in quel posto. Ma lo scrivere ha significato tutto per me in un difficilissimo periodo buio. Tempo di cambiamento.
Q: C’è stato qualcosa in merito alla scrittura che hai imparato dalla tua esperienza in STOKER che hai applicato nella prima bozza o nella bozza seguente di The Disappointments Room?
A: Per STOKER non ho fatto molte bozze e fu un’esperienza spaventosa-slash-emozionante, scrissi istintivamente, senza sapere quando e se il treno avesse saltato i binari. Mi ha richiesto un grande atto di fede. Quotidianamente. Questa fiducia in qualunque cosa, mi guidava. Ed ha fatto lo stesso con THE DISAPPOINTMENTS ROOM. La differenza è che ci sono stai dei dettagli di vita reale che sapevo di volere costruire all’interno della storia. Doveva essere ispirato a qualcosa di realmente accaduto. O che sarebbe potuto accadere. Quindi quei frammenti erano come un salto nel buio. Questo spazio grande, vuoto che necessitava di essere riempito. Una parola alla volta.
Q: Adesso sei ad un punto in cui sei sia attore che sceneggiatore, o almeno credo sia così in base a quello che vedo su IMDBPro. Cosa ti attrae ad un progetto – scriverlo o recitarlo?
A: Amo scrivere ma non amo il business della scrittura. Tutto il business che ruota attorno ad esso. Sono stato seduto in quelle stanze, con quelle persone, i responsabili che possono assumerti per riscrivere o rifare o adattare. La “classe creativa” di Hollywood. E io non parlo quel linguaggio. E non voglio nemmeno impararlo. Non è il mio ambiente, non è la mia tribù. Lo spettacolino su commissione… non sono più il mio obiettivo. Quei giorni in cui scrivo – se ne ho il tempo, se ne ho la motivazione – di solito è per un motivo personale. Come un saggio breve lo posterò sui social media. Mi diverte riuscire a raggiungere un pubblico direttamente ed immediatamente senza intermediari. Questo è quello che riesco a fare. Per ora.
Source (Si avvisa i lettori che la fonte ormai è una sessione scaduta poichè attingeva da un post caricato da Wentworth stesso sulla sua pagina Facebook ufficiale, che poi è stata oscurata e chiusa da lui, Attualmente potete trovare tutte le interviste originali in una raccolta fatta da Wenteworth, seguendo le info del nostro blog cliccando QUI.)
Traduzione a cura di Alessandra e Kiara