MAILBAG 7.1

Maggio, 8. 2018. Risposte di Wentworth alle domande che gli sono state fatte sulla sua pagina ufficiale, sotto lo spazio dedicato alle domande, con l’etichetta “mailbag 7”. (originale)

Traduzione a cura di Heather Purple

Grazie per le vostre domande. Tempo, energia e risorse permettendo, potrebbe essercene ancora una o due di queste mailbag. Fino ad allora. W.M.

* * * * * *

Q: Smart tornerà ad un certo punto o è andato per sempre?

A: Smart/Snart non ha in programma di tornare in The Flash o in Legends. (Questo non vuol dire che non lo farà. Non si può mai dire.)

 

 Q: Sono molto attratta dal tema dell’inconscio e, in particolare, del sogno perciò vorrei chiederti se ricordi i sogni che fai e se hai (o avevi) un sogno ricorrente.

A: Ho avuto un solo sogno ricorrente o due e tendo a dimenticare gli altri (quelli che ricordo appena sveglio) piuttosto rapidamente. A meno che non li metta per iscritto. O ne parli.

Una volta ho fatto un “sogno” (uso le virgolette perché non sono sicuro al 100% che lo fosse) nel quale mi svegliavo quando qualcuno si sedeva sul materasso, in fondo al letto, accanto ai miei piedi. Riuscivo perfino a sentire il materasso abbassarsi…Non sembrava un sogno. Mi sembrava reale. E chiunque (o qualsiasi cosa) fosse seduta ai piedi del letto era… Diciamo solo che, se era davvero solo un sogno, era di quelli brutti.

Alcuni giorni dopo ho parlato di questa cosa con una persona che conoscevo. Dissi: “Non sarebbe una scena inquietante in un film?” (In quel periodo stavo scrivendo film inquietanti). Questa persona, molto religiosa e con l’abitudine di inquadrare le cose in un particolare contesto, disse: “È esattamente quello che vuole il demonio”. E io dissi “E ora che faccio?”. Lui rispose: “Non è venuto da te per caso. Ti ha scelto di proposito. Perché scrivi film inquietanti. Sapeva che avresti inserito questo momento nella sceneggiatura. Così quel momento, creato volutamente per te all’inizio, verrà messo in un film e quel film verrà mostrato a un pubblico di milioni di persone e tutte quelle persone, che potrebbero non aver mai avuto un’esperienza demoniaca personale, l’avranno. Sarai la voce del demonio. La sua cassa di risonanza, in pratica”. E io: “Allora dovrei scriverlo!” (Scherzavo).

Non entrerò nel dettaglio di quello che ho fatto o non ho fatto della sua interpretazione. Non qui. Riconosco, però, che da quel momento in poi ho cominciato a pensare più attentamente a quello di cui scrivevo, a ciò in cui recitavo, al tipo di messaggi che veniva inviato. Da me e da Hollywood. La narrazione va di pari passo con la responsabilità, specialmente quando ti rivolgi ad un pubblico ampio. Credo che tutti noi abbiamo bisogno di stare più attenti alle storie che raccontiamo e ai messaggi che inviamo perché, anche quando pensiamo che non ci sia, un messaggio c’è sempre.

P.S. Ora che ci penso, attraverso questa mailbag, alla fine sono diventato la voce del demonio. (Ops)

 

Q: C’è un modo di fare self-care che trovi particolarmente difficile o impegnativo da mettere in atto anche se sai che, facendolo, potresti ricavarne un profondo senso di sollievo o un beneficio a lungo termine?

A: Ho un problema con lo zucchero. E con “ho un problema” intendo “sono un drogato di ”. So che il mio corpo, la mia mente trarrebbero un enorme beneficio se lo riducessi, anche solo un po’. E potrei/dovrei considerarlo una forma di “self-care” ma sono intrappolato nel circolo vizioso della ricompensa. Mi alzo dal letto, affronto la giornata, raggiungo qualche piccolo risultato e, alla fine, mi regalo un dolcetto. A volte più di uno. (E poi… l’idea di finire la cena senza il dessert mi è completamente estranea.)

Mi sono detto “Potrebbe andare peggio! Potrebbe essere eroina!”. Poi ho pensato “Lo zucchero É una specie di droga” e mi sono detto “Un giorno smetterò di prenderlo. Assolutamente.” Ma poi ho pensato “Ma allora non avrai più quelle piccole ricompense a cui aspiri” e mi sono detto “Potrei avere una mela come ricompensa” e poi ho pensato “Come no, una mela affogata nel caramello!

É troppo complicato.

 

Q: Quale libro stai leggendo adesso?

A: Il bazar dei brutti sogni di Stephen King. Prima di quello, La ragazza del treno di Paula Hawkins. E prima ancora Less di Andrew Sean Greer. Quando avrò finito con King leggerò The Street di Ann Petry.

(N.d.T.: Ann Petry é una scrittrice afro-americana del ‘900 e il suo romanzo The Street è ambientato nella Harlem della seconda guerra mondiale ed è incentrato sul personaggio di Lutie Johnson, una giovane madre single di colore che si dovrà confrontare e scontrare quotidianamente con il razzismo, il sessismo e l’ingiustizia sociale per realizzare il “sogno americano”, per sé e per suo figlio Bub. Il romanzo non è stato ancora tradotto in italiano.)

 

Q:  So che trovare una soluzione ai problemi di salute mentale richiede un processo molto lungo e che non accade da un giorno all’altro, o in un mese o persino in un anno, però mi chiedevo se tu potessi suggerirmi un metodo istantaneo, un esercizio o uno stratagemma per quei giorni davvero brutti, quei giorni in cui preferiresti essere in coma pur di non dover affrontare il dolore psicologico o emotivo. Quei giorni in cui i pensieri si rincorrono incessantemente e ti sembra di non riuscire più a rialzarti. A volte provo con una doccia fredda o andando a correre perché rilascia noradrenalina ed endorfine. Quando ci riesco è già una vittoria per me. Ma ci sono giorni in cui non riesco proprio a prendere il controllo di me stessa.

A: Prima di tutto, complimenti per aver già trovato due strumenti nella tua “cintura per gli attrezzi” (docce fredde, esercizio fisico) per quei giorni davvero brutti. È un enorme, enorme vantaggio. Secondo, non ho “metodi istantanei, esercizi o stratagemmi” per quei giorni in cui preferiresti “essere in coma”. E sarei scettico verso chiunque dicesse di averne.

Non so cosa potresti fare per migliorare quelle giornate. Perché non sono te. E perché la depressione è diversa da persona a persona. Però so cosa posso fare per rendermi peggiori quelle giornate. Biasimarmi. Rifiutarmi di perdonare me stesso. Accusarmi per quella brutta giornata, per non essere stato in grado di prendere il controllo di me stesso. Quello è un modo infallibile per trasformare una giornata davvero brutta in una giornata DAVVERO davvero brutta.

Ho preso l’abitudine di perdonare me stesso ad alta voce nelle brutte giornate. Anche se non credo a quelle parole mentre le dico, io le dico lo stesso perché le parole hanno una grande potere. E confido che una qualche parte di me (non la parte ipercritica/giudicante/scova-difetti/sabotatrice) mi darà ascolto.

Per saperne di più su questo tema: https://www.facebook.com/notes/wentworth-miller/a-good-talking-to/1558254941054109/

 

Q: Per favore, puoi darci qualche informazione sulla stagione 6 di Prison Break???

A: Mi dispiace – non ho informazioni sulla sesta stagione di PB. Mi ero impegnato attivamente nel far decollare la quinta stagione. Ora mi sono seduto nelle retrovie. Per me “que sera, sera”, sarà quel che sarà. Se la sesta stagione ne varrà la pena, se avrà un nuovo slancio e motivazioni, bene. Se non sarà così, andrà bene lo stesso. Non ci perdo il sonno.

 

Q: Mi è piaciuto molto il tuo post sui mercatini dell’usato, il che mi porta alla mia domanda…Qual è stato il tuo ritrovamento preferito finora e perché?

A: È sempre l’ultima cosa che ho trovato. Trovo sempre dei nuovi preferiti.

 

Q: Sei mai stato innamorato di una donna?

A: Questi non sono affari tuoi. Però ti dirò che al secondo anno delle superiori mi sono preso un’enorme cotta per una ragazza…e un ragazzo. Nello stesso momento. Poi loro hanno cominciato a uscire insieme. E io non sapevo come sentirmi al riguardo. Ancora oggi non lo so. (Però potrebbe essere un’idea per un bel romanzo/film per teenager. Se non è stato già fatto.)

 

Q: Mi sento persa. Non so più in che direzione mi sto muovendo. La mia stessa ombra mi perseguita. Come puoi ritrovare te stesso quando non sai più chi sei??

A: Cavolo, sarei entusiasta se la mia ombra mi stesse addosso. La metterei in un angolo e le farei un po’ di domande. Del tipo: “Perché mi stai perseguitando? Che cosa vuoi? Cos’hai da insegnarmi? Su di me e sul mondo che mi circonda?”

Anche quando mi sento come se non sapessi più chi sono, anche quando stento a riconoscermi, sono dell’opinione che non posso non essere “me”. Non è possibile. Io sono sempre “io”. Una qualche versione di me. Nuova, sconosciuta, decisamente poco piacevole ma sono sempre io. Esplorare questa versione, renderla mia, darle lo spazio che merita (per quanto mi è possibile) è una delle chiavi per l’auto-accettazione. E per amare se stessi. Insistere nel pensare che ci sia un “me” e un “non me”, intesi come un me “giusto” e un me “sbagliato”, porta solo all’incomprensione di se stessi. E all’odio, verso se stessi. Secondo me.

Quando qualcuno mi dice (o quando sono io stesso a dirmelo) “Non è proprio da te!” rispondo: “No, è solo che tu non mi hai mai visto così, sotto questa luce, in questa situazione. Di me avevi solo una limitata concezione e ora sai che c’è (anche) dell’altro. Mi avevi inquadrato e messo in una scatola. E le scatole possono anche essere carine, con i loro bei nastri e le loro belle confezioni, ma sono sempre delle scatole. Ora hai scoperto che non sono come mi avevi inquadrato. E se la cosa ti crea dei problemi, fattene una ragione.

Per saperne di più sul tema “me” versus “non me”:

https://www.facebook.com/notes/wentworth-miller/survivalmode/1896179350594998/

 

Q: Consiglieresti ai giovani di finire il college o di inseguire i loro sogni?

A: Consiglierei ai giovani di finire il college se il loro sogno è quello di finire il college.

 

Q: La mia domanda è, come sostenitore della salute mentale, cosa diresti a coloro che hanno questa idea stereotipata di chi tenta il suicidio come di persone che sono solo in cerca di attenzione?

A: Le persone che credono che io tenti il suicidio solo perché sono in cerca di attenzione a) mancano di empatia; b) hanno un basso quoziente intellettivo emotivo; c) hanno paura di rimanere coinvolti.

Invece di provare a trovare un modo per convincere queste persone che sono in crisi, mi troverei altre persone. Se devo convincerti che ho bisogno di aiuto allora non puoi aiutarmi. Sei parte del problema. In aggiunta al mio stress. Andrò a cercarmi qualcuno che mi crede quando dico “Sono in difficoltà”. La prima volta. Purtroppo, potrei non avere amici o una famiglia. Purtroppo, potrei aver bisogno di andare oltre le conoscenze più immediate per trovare aiuto. Lo farei. L’ho fatto.

Quando mi sono trovato in difficoltà – in grande difficoltà – e mi sono rivolto alle persone che conoscevo, persone che credevo mi conoscessero e mi amassero, ne ho trovato forse due o tre che mi abbiano davvero sostenuto*. Al mio percorso per tornare ad uno stato mentale positivo la maggior parte dei miei amici e della mia famiglia non vi ha preso parte.  Storia vera. Alcuni non hanno colto i segnali, altri hanno finto di non vedere, altri ancora non hanno saputo cosa dire e hanno scelto di rimanere in silenzio (tutte reazioni potenzialmente letali). Sono dovuto andare al di là della stretta cerchia di conoscenti e trovare supporto e accettazione in una comunità di estranei (The ManKind Project), per essere finalmente visto, ascoltato e compreso come un uomo in difficoltà. Come qualcuno che aveva bisogno di aiuto. È lì che il mio percorso per ristabilire la mia salute mentale è iniziato seriamente**.

*2 o 3 più di altri.

**Un “percorso per tornare a un equilibrio psicologico” potrebbe far pensare che, in precedenza, mi trovassi in una condizione di equilibrio psicologico. Cosa che non è corretta. “Il mio percorso verso un equilibrio psicologico” è corretto.

 

Q: La mia domanda è: immagina di essere a casa una domenica. Magari, è il tuo compleanno. Stai lavorando a qualcosa, sei piuttosto stanco e affamato. Senti suonare alla porta. Quando apri vedi una scatola sul portico. Una sorpresa! Cosa ti piacerebbe trovarci dentro?

A: Un’etichetta di reso. Perché è una cosa dannatamente inquietante. *prendere nota per un film*

 

 

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